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La biancheria di carta
la pioggia di carta e nella carta un cielo che scende
millimetri di parole a cadere
mi vesto con poco guardare
con poco vivere costruisco un uomo una casa un giardino
tiro a casaccio un figlio e racconto:
c'era la guerra delle formiche alla televisione
le nuvole disegnavano gatti
i continenti si spostavano di un centimetro.
Ero in perfetto orario per nascere
perfetto il vento che entrava da nord
nel lato liquido della parola.
Mi domando per quale orologio finiscano due occhi;
se c'è una fase che ci contenga
se c'è una luna;
mi domando cos'è un inizio:
se un inizio è qualcosa che esiste
se partire è andare davvero incontro a qualcosa.
Sento le danze del maggio girare
in questa mattina di carta bagnata e mi consolo
che sento scrivere in un orecchio
dovessi ancora ingoiare la lingua dovessi battere sui tuoi piedi:
forse sarei la rosa
o la tua mano antica che dice
l'orto invisibile.
Le luci infilano le persiane
i minuti avanzano nella stanza ancora amniotica
con un sorriso spalanco i fiori
li sento col naso questi pensieri a venire.
I primi a salutarmi sono i pesci
li vedo seduti su una panchina, loro, che avevano il mare.
Dicono ancora filosofie
ed io mi siedo nei loro specchi a ridere:
c'era l'acciottolato in salita
e c'ero io dentro una calda noia
dal cielo infinito un millennio di voci all'unisono
un amore di voli e scritture
l'afrore azzurro spento degli occhi: a perdersi.
Piovevano settentrioni.
Da altri pianeti piovevano orienti, stagioni, religioni
bocche e lingue dai fiumi: orgasmi dell'acqua:
lettere dentro lettere.
Ero solo ed eravamo in tanti
in fondo agli occhi
un riparo di croci:
voci
nelle pozzanghere:
serbatoi di poesia.
Se scrivo uccello poso un pensiero sul mio balcone.
Se mi raccolgo, dico, tutto in me, questo ricordo d'acqua
e ci resisto, io che non vivo
se vedo piangere una grondaia
e salire una voce dal niente, io, che ci volo
sento che sto scrivendo:
e sto morendo pure, dentro una carta
che batte il tempo:
che me lo appendo al muro se vuoi
e me lo chiudo in un occhio il cuore,
questo muscolo della terra che avanza:
perché è ancora laggiù che si muore
anche se non lo dici;
e dici pancia e fegato
e fai le mani dure, tu, che sei di stomaco tutto meticoloso
e ci raccogli nella terra i tuoi frutti maturi.
Anche la notte scende
col tratto livido
a salutarmi
qui
sul corso meridionale
dietro il cinema felix
mentre piove
sui gatti e sui cartoni
a metà strada tra il mare
e la ferrovia. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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