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| Tra le brine e le tenebre
e i sassi lugubri,
e nel mar degli estinti e muti avelli
e in tra le affrante roveri
‘ve un fiore si tramonta, e agli arboscelli
che l’alba Luna n’agita
cogli occhi funebri,
e a un Angiolo di rame -
la croce ferrea -
‘ve la bruma ne dà l’estrèm sudore,
e al vespro di pallore
s’addormenta una cerula
tomba di spasimi,
in cui sen sta l’ossame
di donna terrea.
Le pietre delle lapidi
a’ Notte scendono,
e i bronzi delle statue e i lumicini
notturni e mesti splendono
all’ultime doglianze, e pe’i Destini
or serpeggiano tremuli
come fantasimi,
e freddo e oscuro ‘l vento
e in Furia oscena
e alle cripte silenti e a’ fiori insani
e a’ scheletriche mani
febbrilmente si sibila
d’un soffio putrido,
e ne balza un lamento,
la scialba vena,
e i muti e negri tumuli
eterni tacciono,
ciechi di speni e di Vita e di giorno,
e truci e biechi gelano,
e uno spettro sen va di Morte adorno,
or cieco e lamentevole,
e lento e rorido
nel silenzio perenne
delle ghirlande,
e alla destra ne tiene e al collo i teschi
e mira i cieli freschi,
e in sulle cupe nugole
ora dispàrvesi;
e colei che si svenne
in queste lande
placidamente dòrmesi
nel tetro loculo.
Allor da questi spettri omai infestata
la queta bara mormora,
e giace nel sopor l’illagrimata
e cara spoglia e giovine,
e muta làgnasi,
e nell’Eterno posa -
sotto ‘l sudario -
col muschio che ne bacia ‘l ciglio d’osso,
e ‘l smorto labbro rosso,
e del sepolcro ‘l vortice
d’angosce grìdasi,
al braccio un’ansia rosa,
man di rosario.
Or quivi ‘l Tempo orribile
le fiere e pallide
de’i defunti le ragne inquieto ordisce,
e a’ tersa e trista polvere
la misera che dorme or compatisce,
e aspre l’urla si strisciano
i vermi increduli,
e l’eco infausta piagne,
e prega indarno,
e qui perpetuamente ‘l vespro regna -
insiem a’ Sorte indegna -
e l’astro sono i languidi
pepli de’i miseri,
la Luna l’orbe lagne,
e l’osso scarno.
Così a codeste maschere
d’inesorabile
Morte crudele che i corpi divora
e a’ quest’ossami taciti
che ‘l perenne mutar orrendo infiora,
e alle larve terribili,
e a’ germi fetidi,
e al fatal cimitero,
e a’ terra ultrice,
in scheletro mutata una fanciulla
or s’inebria del Nulla,
e un giorno fu la tisica
fauce dell’Opera,
sepolta al fior d’un cero,
la cantatrice;
e al fianco un’arpa flebile
di melanconiche
corde d’argento, del Fato la voce
s’addormenta e ne pizzica
del rosario l’eterna e falba Croce,
e a’ Ciel divini e a’ nugoli,
e all’alme candide
tepidamente canta
quasi gemendo,
e ‘l son etesio intende una preghiera
di quest’ossame in cera,
e sempre s’erge stridula
e qui ripètesi
ché d’eco omai s’ammanta
in suol tremendo.
Oh tu, Maria, una docile
dama di cantici,
forse in sonno or sognando vai i perduti
allori e i palchi eroïci,
e i melliflui e soävi e dolci liuti,
e i delicati cembali,
e i flauti fragili,
e l’arsa gioventude,
e i vani ardori,
quando al petto scendean bruni i capei,
e quest’iride e i bei
occhi di Vita ergèvansi,
beltà inconsutile,
e casta per virtude,
e sanz’Amori,
e sogni ancor la Musica,
gli alti pentàmetri,
e presso le Tragende e alla tua destra
di soni e canti formidi
melanconica e tenue l’ansia orchestra,
e che le note andavano
meste e gradevoli,
e ‘l viver di Teätro,
e l’avvenire
che l’etade schiudeva a’ tuoi desiri,
e i dolci e pii sospiri,
e ‘l core privo d’incubi,
e d’altri gemiti,
in pria un dì di quest’atro
e reo morire,
e gemi al suol italico,
e al mare e a’ Napoli,
e alla Patria e a’ Parigi or piagni mesta -
oh tristo cenere! -
e nobile ne sogni una Tempesta,
e sogni i fior che davano
gl’immensi Musici,
ore primaverili
che un morbo uccise,
e ‘l vivere non fu che un spettro vano,
un reo Destino arcano,
una condanna a’ spasimi,
eterno un brivido,
e molli attese e vili
che ‘l Nume elise.
Allor d’obbrobrio or foderi
quell’ingannevole
Fato che a Londra t’addusse alla Morte,
oh turbinosa indole,
pel destriero che svelse l’empia Sorte,
e ne canti all’ispanica
terra e a’ suoi valichi,
e ché ‘l cantar mai svelga,
in lamentanza
dolcemente rimembri i monti baschi,
e i calli bergamaschi,
e le beltà di Màdride,
e l’onde sicule,
e la foresta belga -
crudel doglianza! -
e ora qual oboe esanime
ne lagni, e gelida
freddo t’infiammi l’arcano del core,
e tramontata giovine
come le Villi ti strazi d’Amore,
e i tuoi pensieri vergini
or serri al loculo,
oh Vita dissipata,
oh Spirto cesio,
e morta, e bianca e tetra a’ nembi gemi
privata delle spemi,
osso in su’un velo funebre,
oh pianto in scheletro,
e mai tu fosti amata -
un sogno etesio -
e qui al sepolcro rorido,
e al suolo e all’umida
pietra non viene una fiamma a donarti,
né un’ansia rosa o un glicine
or niun de’i Musicisti; e tu che parti
a’ pii e divini nuvoli,
e a’ Cieli liberi
or forse ne disperi,
e l’osseo pianto
alle tombe ne volgi, e niun t’ascolta,
e alla lugubre volta
ne doni un fero gemito,
fatto in fantasima,
e sol d’oscuri ceri
vola ‘l tuo canto;
e nel funereo manto
tra le pene si spegne a te ‘l pio core,
e alma in Cielo ti taci, e ‘l sogno muore. |
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