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Alfin dal freddo ciglio un pianto spremo,
la Notte viene e tremo,
e lì, nel cielo cupo, ormai non miro
che ‘l mio sospiro,
e nel pianto trascorro l’ore, e fremo
e palpitando al seno
d’un sogno molle e casto n’ho ‘l martiro;
e sono folle.
Vorrei che ‘l labbro avesse osar di dire,
non bramo più sentire
questo senso d’affanno, e questa Sorte
pari alla Morte,
vorrei abbracciarti, o cara, e proferire
l’arcan del cor, dormire
tranquillo e amato e in sonno e ancor più forte
di questo Fato,
vorrei che andasse via or questo tacere,
silenzio amaro e fiere
ore insane e gementi, e dirti al core
che se’ ‘l mio fiore,
vorrei saper compiute le preghiere
dette in ansanti sere,
proferite al Signor desiando Amore,
Notti smarrite;
e vorrei che l’abbraccio che tu speri
che sognano i pensieri
dorati e bei vi fosse, come un Sole
sovra le viole
di Primavera aprìca, come i neri
cieli cogli astri fieri,
come un brio che sorride al sen che duole
pregando a Iddio...
Oh sogno... oh sogno... oh chimera! Oh affanno eterno,
freddo e gelato inverno!
Oh cor che t’assassini... oh cor che muori,
fior di dolori!
Oh Fato... oh Fato... oh Destino! Oh truce ischerno,
oh Verbo dell’Inferno!...
E l’ansia sale e grida e in rei furori
ne sbatte l’ale!
Vorrei che l’alba urlasse, come un corno,
al quieto e nuovo giorno,
ch’effondesse ‘l sentir d’un cor affranto
a te ‘l mio pianto
come un passero in strazio in su’ d’un orno
cui ‘l sono va d’intorno,
un Trovatore ascosto, un spirto in canto,
il mio dolore,
come l’acqua alle pozze or sfa l’atòmo
e rivelato e domo,
come ‘l nembo che ‘l Sole all’occhio svela
e che rivela,
come un bacio si giace al labbro d’uomo,
un mellifluo unisòno,
la rondinella al vento che s’inciela;
e tu mia bella,
e tu serena dama, e tu fanciulla
e tu che vaghi al Nulla
di questo core ansioso, e tu ninfea,
rosa e orchidea,
e tu... e tu e più non senti e pièta e in sulla
mia addolorante culla,
e tu in eterno fuggi, oh eterna Dea,
e sempre ruggi!
Vorrei ridirti ‘l Verbo or tanto ambìto,
questo sognar smarrito,
questo strazio che n’urla come un flauto
acuto e incauto,
vorrei invitarti all’Ebe d’un convìto,
posarti un pegno al dito,
vorrei tu fossi mia e nel senso lauto -
sogni commossi -
come l’ape alla rosa, e come ‘l vento
che allegro soffia e a stento,
come ‘l Cielo ne volle - e prodi e donne -
come l’insonne
n’ha d’uopo del dormir che viene lento,
come al vespro ‘l spavento...
vorrei baciar i lembi di tue gonne,
vorrei allietar;
e odo un brivido in core, un’ansia arcana
dolce e gentil mattana,
mi lacera, mi piega... m’assassina,
non so, è una spina,
lo spiro è ansioso e mesto, è l’aura insana,
e tu mi se’ lontana...
sempre Notte... la temo... mai mattina
a queste grotte,
e n’ho paüra e temo, ecco ‘l tramonto
la fine d’un racconto
che d’Amor ne discorre, ma è incompiuto
e son perduto,
eternamente bianco ‘l foglio, e affronto
questo deserto, e pronto
non sono a questa Sorte, a questo muto
cor di Tempesta,
e l’umide pupille al sonno intendo,
rido... o al pianto m’arrendo?...
e vorrei dirti ancora quel che ignori,
tutti i miei ardori,
quel che vorresti udire e quel che attendo,
quel che vuoi odiare; e rendo
quel che tacer giuravo, i miei stridori
e ‘l mio dolèr,
vorrei ridarti al core quel che sprezzi,
le lagne, e i canti e i vezzi,
quel che tanto lamenti, quel che taci
detti fugaci,
quel che brami allorquando ‘l ciel carezzi,
i sentimenti grezzi,
quel che sai e che ne fremi, forse i baci,
o forse i lai...
E tanto al Ciel pregai!
Melanconicamente e dolce e inquieto,
vorrei amarti e per sempre, oh core lieto!
E fuggi? E cosa fai?...
M’imporrai nuovamente ‘l vil silenzio,
un muto labbro e affranto n’è d’assenzio,
e non dicesti: «Mai!»...
Quel Sentimento ho ancora in mezzo al core,
pietà... pietà che t’amo... Oh immenso Amore! |
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