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In quest’ermo irrequieto or sempre errando
e pelle selve e i fonti e i rivi io grido,
avvolto nella Notte e in sonno blando
e in strazio infìdo,
e forse ‘l core istesso qui m’irrido,
sono ‘l sasso che premo, e l’immolando
che presso a Morte geme e in ansia e a un nido
cupo e nefando,
e in eterno e in funereo e in tristo bando
per lande antiche e spettri e a ignoto lido
e a’ serotine fronde - e quasi obliando -
l’errar affido.
Allor in questa benda vespertina
e in sul sudario ombroso delle stelle
come fossi un viandante e a un’alba alpina
ne vado, e nelle
grotte arcane mi poso, e mai si svelle
un fiero sogno e crudo, e la mattina
ne fia lontana ancora, e in queste celle
l’aura è ferina.
Infatti ‘l vento n’urla un dolce nome,
e in fin l’Erebo ‘l scrive e in fin le pietre,
e le foglie disposte e a terra come
quel che fan l’etre,
e in queste fronde oscure e meste e tetre
‘ve ‘l frassino ne mòve l’aspre chiome
addolorante stringo or l’alte cetre,
lugubri crome;
e a te, fanciulla, dome
singhiozzate parole e al Cielo canto,
coll’arpa inquieta in mano, e al ciglio ‘l pianto!...
A te che ti rispecchio in questa Luna,
argenteo e cesio volto, e in questo lago,
e in queste negre terre, e in questa runa
su cui mi piago,
a te che ai cieli ammiro e all’aër vago,
come un astro si speglia a pia laguna,
e a questa bieca ed empia in cui dilago
la Notte bruna!
Odimi, oh dolce e pura!...
Le corde argentee e molli e in sangue vanno,
de’i fiordi, oh ninfa, è questo un tristo affanno!
Un giorno ti scorgevo e alle finestre
col guardo e ‘l labbro ‘l viso ti lambivo,
nello speglio del vetro - oh dolci destre! -
e ti ferivo,
e l’occhio tuo ammiravo, e ‘l crin festivo,
nascostamente come un fior campestre
che si cresce tra l’erbe e ‘l gran corrivo,
e come alpestre
e reo valico io giacqui, e in su’ ginestre
a te nel sogno ‘l braccio ardente aprivo,
e immobilmente io fui al suol rupestre
e in cor lenivo.
Così guardai l’imago e a’ vetri soli
poiché mirarti in volto or non potevo,
e al canto arcano e bel degli usignuoli
per te fremevo;
e ‘l Fato fu crudel... Non mi consòli?...
Tu fosti un dì la Dea al giovin mio evo!
Per te così scendevo
viandante e spento e morto e ‘ve si gela,
come un’alma d’un fiordo in su’ Tuonela,
e in questo canto bevo
la sorte arcana e trista d’un pio cigno,
e pell’Alpi risòna un cieco ghigno,
e ‘l foco in cui io n’ardevo
in questa selva vola e si svanisce,
e insonne ‘l sogno dolce s’avvilisce...
Oh fanciulla tu ricorda
se cor per me non hai, e nemmanco pièta
che per te sola or muore ‘l tuo Poëta! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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