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Fosco ‘l vento e irrequieto al mar si lagna
e agli scogli e alle sabbie e al cheto porto,
e ‘l seral orizzonte n’accompagna
un fresco soffio e dolce e in cielo assorto,
e svelta l’onda e d’oro ‘l molo bagna
e questo ostel di pietre in sonno morto,
e come i greggi stanchi a’ loro ovile
d’Occàso riede e carco un mercantile,
e in sull’acque sen giace ‘l suo naviglio
e la brezza una vela or bacia a prora,
e ‘l capitan esulta, e ‘l gran periglio
de’i Corsari fuggito ei n’ha tuttora,
e di nativo suolo ammira ‘l miglio
e i templi e i rivi e ‘l ciel che l’innamora,
e rosea e bianca e dolce come pesca
vien da lungi una dama ch’è moresca;
e la stipa gentil del pescatore
i remi alfine posa e si ripara,
e ‘l brigantin - dell’onde ‘l corridore -
sen dorme e ‘l mozzo giuoca a lenta zara
e a’ sartie canta un uom canzon d’Amore
che vêr l’Africa va, dov’è sua cara,
e l’alte vele cala ‘l pio vascello
dal tramonto baciato, argenteo vello,
e lungi e aprìca v’è la valle armena
e avvolto in nebbie fitte un monte s’erge
e l’alba Luna in cielo a una polena
l’almo argento - e in sul mare - ancor immerge,
e questo bacio cesio in sull’ischiena
di questa lignea dama in pioggia terge,
e circondata in fregio da una lisca
degli Osmàni costei ne fia Odalisca.
La rondinella vola e al vespertino
e fresco e oscuro nembo piagne, e bruna
ne splende a’ fiori e a’ cardi e al biancospino
e sempre più dorata l’alta Luna,
ed è un occhio sereno e femminino
che d’argento ne avvolge la laguna,
e ‘l suo mador ne copre i bei palagi,
e i giuochi, e i canti e i balli e i guadi e gli agi,
e i fumi pinge e i fochi e gli aspersori,
e assapora gli incensi e gli oli ameni,
e le lagrime abbraccia e i rei dolori
in sull’haremme prisco orbo di speni,
onde le dame gemono agli Amori,
i colli lisci e dolci e ignudi i seni,
e la vampa celeste e pia e lunare
s’irrora all’onde oscure e a questo mare.
Allor la Notte cieca un minareto
di fosche e d’astri veste e la moschea,
e ‘l villaggio costiero dorme inquieto,
e a uno stagno si posa la ninfea,
e lo scoglio marino osserva lieto
la sirte orrenda e cupa, e negra Dea,
e s’alza ‘l sono in miele d’una cetra
che dal Serraglio piagne a nube tetra,
e l’orizzonte e negro e reo e meschino
ne volge i sogni ignoti e al ciel gridante
e di tenebre copre quest’Eusino
‘ve l’oro brama e tosto ‘l mercatante,
e in man la cetra ansiosa al suo divino
e ascoso guardo lagna un cor amante,
e stan a’ moli i passi e le facezie
di lor che a terra posan l’acri ispezie;
e come un fiore ‘l stame a vespro chiude
e ne cola dall’occhio or la rugiada,
la giovinetta mesta che s’illude
le gemme scioglie e ‘l crine, bionda biada,
e l’uom amato insegue in fin a’ rude
e fredda arena e vil della contrada,
e secco ‘l labbro e in ansie ‘l giovin seno,
or nasconde alla gonna un reo veleno.
Frattanto l’alba Luna è un zafferano
che dorato s’infiora e s’abbellisce,
e di zenzero pare e in sul Sultano
l’Amor, la pugna e l’Odio suggerisce,
e di cannella è bruna, e pur lontano
come un faro un naviglio in mar lambisce,
e in tra le fronde giace d’una siepe
in sulla Notte negra come ‘l pepe.
È questa un’alma Notte - ed orientale -
e sognandola vienmi Poësia,
e quest’è un bianco e cheto e dolce strale
della Luna gentil che vola via,
e ‘l vespro al mare aprìco è un funerale
che svanir in sull’alba non vorrìa,
e un vascello tranquillo ormai sen dorme
in sull’onda del mar che grida informe. |
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