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Strilli e pianti e follia, e da questa torre
come un malato sen muore un poëta,
e più non sa una canzone disciorre.
Al Neckar che sen piagne un’alma inquieta -
e a’ versi - getta i fior de’i pioppi, e dieci
battiti ‘l bronzo sona e sanza pièta;
e ne fugge lo spirto ai spettri greci,
e crudo e scarno ed egro indarno impera,
vano sussurro di malate preci.
Domina ‘l guardo, e va alla Primavera,
e a queste piazze, e ai mercati e ai ponti -
alla finestra come un’arsa cera.
Vede allor quest’aëdo i bianchi monti,
e i balli, e i baci e le feste. È la Vita,
viver sì bieco morto in suoi racconti.
È giunta l’ora! E il Fato vuol l’ardita
chioma che tanto osò pensar dall’Alto
sdegnando l’orbe, madre inaridita...
Sangue... sangue ne vuol; e questo spalto
è la pazzia - di se istesso catena -
d’uom mai vissuto e pallido qual malto!
Lasso! Anatema, maledizion, pena...
disperazione dinnanzi al Destino
che i sogni sempre di indarno avvelena!
Muore ‘l poëta, e tramonta ‘l meschino,
e ‘l capel suo è reciso da una Norna,
‘ve infiamma un cieco e infernale cammino;
e questa chioma - ch’è di gloria adorna -
giace morta e pallente e in pien dolore...
e questa Vita?... Ahi, più non ritorna:
poiché a colui che poëta sen muore
che può ‘l sudario? Silenzio d’Amore! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«In Memoria di Johann Christian Friedrich Hölderlin, Poëta e Filosofo romantico tedesco.» |
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