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Trista lucea agli avel d’un cimitero
e ai sepolcral cipressi
la Luna, e pallida e in tra’i nembi oppressi
pe’i ciel brillò, e di nero
vestìa ‘l luttuoso e cupo della Notte
il guardo, e tacque inerme,
e in sulla fossa illuminava ‘l verme
e le tombali grotte,
onde un reo cenere or s’alzò in vapori,
freddo d’ossame intatto,
e fu un alacre vento intriso e fatto
di tanto avversi odori.
Allor al vischio, e ai salci e alle ghirlande -
preghiere e indarne spemi -
e in tra le fronde e ai tristi crisantemi,
e ai frassini e alle ghiande
più s’effondea ‘l lunar sorriso affranto,
e ne irridea le salme,
e spettri osceni e perduti dell’alme
ululavano un canto;
e urlò la nottola, e d’in su’ un prunalbo
si lagnò un usignuolo,
e su’ una lapide un crudo bocciòlo
crescea di giglio scialbo.
Lento soffiava ‘l vento, e ne feriva
i tombal sassi - e bruni -
e ne piegava i ramoscel de’i pruni,
e in sulle croci ardiva,
e a quei arboscel la Luna si giaceva,
cadaverica imago,
e delle selve ‘l cimiterial lago
di Morte n’accendeva;
e l’aër fosco s’infuriava, e ai morti
piovea le nebbie cieche,
e l’ansie pietre feriva, e le bieche
viole, e i cipressi insorti,
e assai terribili erano i suoi aspetti
di muti ossami e teschi,
e gl’invisibili aliti e guerreschi
fûr ai recinti schietti...
E come un tril di soffrente violino,
nel vento cieco e ansioso,
or vagolò uno spettro che morboso
bieco piagnea al Destino,
e ora era chiaro, e ora alla Notte effuso,
e molte volte apparve,
e l’inseguiva un stuol di vane larve,
viver morente e illuso;
e alla mancina portava una corda,
e poco lungi un ramo -
ov’ei s’impese - strillava un richiamo
che l’eco ancor n’assorda,
e l’arboscel piagnea e si tremolava,
e poco più che spoglio
per tanto orrore versava ‘l germoglio
che al suol qual pioggia andava.
E ‘l faggio suo pelle cortecce e ‘l fusto
sangue sudava e bile,
e s’inquietava furioso e sottile
il ceppo altèr, vetusto,
e l’orbo spettro in tra le tombe infauste
svaniva in pianto impuro,
e ‘l divorava del cielo l’oscuro,
mille Morti nefaste,
e le sue carni - in scheletro cangiate -
de’i vermi furon pasto,
e all’Inferno sacre e all’olocausto
dell’anime dannate;
e sotto ‘l faggio, e in tra morbida Luna,
l’ombra sua ancor splendeva,
negre di stelle, e bianca s’espandeva
pella tombale cuna:
rigido ‘l corpo avvolto in un mantello,
le man al cappio avvinte,
e le pupille di Morte dipinte,
e in testa un reo cappello,
e dondolava in sul vento impetuoso,
e ai ciottoli ferali,
e si pascea di mesti funerali,
un requiem burrascoso...
ed altri spettro s’ergevan da terra,
e ululavano i lupi,
e delle fosse schiuse i rei dirupi
ai vivi fean la guerra...
E tu, oh alba Luna, che ancor mi sovvieni,
illumina d’Amore
l’orbo sepolcro e muto del mio core,
spento e reo, e senza speni,
e fa’ che ‘l dolce e quieto tuo bagliore
mi sia sol Vita, e mai più mio dolore! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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