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Fredd’era ‘l vento e in ciel la Notte bruna
coprìa di taciti assilli un maniero,
e la civetta d’avversa fortuna
spiccava un cantico callido e fiero,
e in tra le nubi indorava la Luna
l’ombra spettral d’un tristo cimitero,
e i monti e i rivi, e i boschi e la laguna
fean l’eco ai bronzi ansi d’un monastero;
e lampeggiava l’etere, e pioveva
un niveo fiotto di sangue - l’impuro -
e l’orizzonte infinito gemeva,
e la scogliera si vestì d’oscuro,
e presso un fonte un nocciòlo s’ergeva,
ai suoi piè ‘l vischio, e l’impronta d’un muro
stavano mesti, e un duro
occhio accecante di squallida strega,
rosa appassita d’un’empia congrega.
Un dì n’andavano ai salci e ai bei noci
le donne sordide e turpi e vegliarde,
mescevan cupe le fiale maliarde,
curve l’ischiene, e frementi le voci.
A Satàn mastro danzavan carnefici,
sacrificavano i bovi e i vitelli,
sotto la Luna sen stavano artefici
di sacrifici, d’umor i ruscelli,
e ‘l vischio infame prendevan - le tarde
radiche arcane de’i cardi feroci -
e le cortecce, de’i pioppi le barde,
vestìan di duol le sembianze sì atroci.
Un dì n’andavano ai salci e ai bei noci
le donne sordide e turpi e vegliarde,
ma un stuol di monaci al Sol delle Croci,
le discacciavan, fuggìan le maliarde.
Ora la Luna, di Morte vestita,
sulle mandragole ‘l guardo posava,
e l’ansie impronte di donna ferita -
cor d’una vergine - ancor indorava,
e colma e altera si fece smarrita,
e del lagnar d’un lupo s’agghindava,
e in su’ una tomba la cerula Vita
dell’orbe nubi feroce scagliava;
ed un vestibolo - un’empia rovina -
sotto ‘l suo strale giaceva, e in sull’ime
pietre cadenti n’ardeva una spina
d’un’aspra Notte e funesta e sublime,
e vagolò sembianza femminina
di spettro rio - che ancor non si redime -
e tramortite cime
si lamentavano in sull’orizzonte,
e ‘l ciel di tristo terrore fu fonte.
Un dì in galoppo un furioso Templare
una fanciulla dal porto rapiva,
e al suo castello - in sul monte - saliva,
e s’infuriò - alle sue spalle - ‘l gran mare.
Gridò la misera, e a stento insisteva,
e malediva dell’empio ‘l desiro,
ma quei crudele e meschino taceva,
d’Amor n’udiva soltanto un sospiro;
e l’incalzava un giovin tutelare,
che alla donzella l’Amor garantiva,
e in su’ un destriero correva a sfidare
colui che turpe cotanto n’ardiva.
Un dì in galoppo un furioso Templare
una fanciulla dal porto rapiva.
L’inseguimento fu vano; e moriva
ella che mai ‘l negletto volle amare.
Allor brillava la Luna in su’ un monte
ove ‘l maniero cadeva, e l’infranta
pallida carne d’un sen, d’una fronte
giaceva inerme e moriente, e cotanta
sete di cruor consumavasi, e l’onte
d’un gran martiro una donna fêr santa,
e si colmava ‘l perenne orizzonte
d’una pia rosa or appassita e affranta;
e presso un pallido e cerulo viso
piangea dolente un prode cavaliero,
un cadaverico e bel fiordaliso
morto nell’attimo - un fior - di mistero...
ed ei gemeva, e sognò ‘l Paradiso,
dalla guäìna n’alzò ‘l ferro altero,
e nell’usbergo nero
mesto lo spinse e nel luttuoso core.
Suicidio, oh Luna! Fu un pegno d’Amore!
Morìa suicida un giovine guerriero,
cadeva esanime e bianca la spoglia,
sembrò d’un pioppo la cerula foglia
che presso ‘l verno sen va su’ un sentiero.
L’acciaro in core, confitto pugnale,
colse lo spasmo dell’ultimo spiro,
e si fondeva col reo maëstrale,
eco danzante d’estremo martiro;
e ‘l labbro immoto colò ‘l sangue nero
or dell’arterie recise, e la soglia
d’una cadente torre e d’un altero
ermo fossato n’espanse la doglia.
Morìa suicida un giovin guerriero,
cadeva esanime e bianca la spoglia;
di Morte arcana ruggiva la voglia,
oscur di Notte, e lagna di mistero;
e ognor la Luna, qual graffio di lupo,
trista infocava le fosche di gelo,
e si cadeva da un turpe dirupo,
ferma e immota, e regina del cielo,
e assecondava ‘l terribile e cupo
spettro infernale - un folletto e ‘l suo pelo -
e lo cullava com’ei fosse un pupo,
e lo copriva col scialbo suo velo...
e in ciel gli spechi del suol suo lontano
sembravan vene sgozzate e fumanti,
e sradicavano e porgean la mano
le meste radiche, ai dèmon danzanti;
e fu un deserto lunare e sovrano,
bello e sublime, e velen pegli amanti,
e furon questi istanti
laddove gotica or fu tale Luna,
Morte d’Amore, eterna Notte bruna. |
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