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Oh inquieto verno e pallido,
oh nebbie, oh fredde nevi,
oh bei e innevati termini
de’ lungi monti, oh lievi
fiori di ghiaccio e belli,
oh immoti e pii ruscelli
che gemon spenti al ciel!
V’ammiro, e tanto e tremulo
m’affanno al vostro aspetto,
onde molt’ansie assalgonmi,
e più non n’ho diletto,
e scorgo ‘l vostro orrore,
mi raggelate ‘l core,
e siete un niveo vel.
Le nebbie vanno e s’alzano
ove ‘l mirar si vela,
gl’immensi calli coprono,
e ‘l ruscelletto gela,
piove dal mesto vento
un senso di tormento,
e l’aër va a tremar;
e l’ansie selve dormono,
dall’oidi son trafitte,
ai loro piè di radiche
l’impronte stan di slitte,
e ‘l ramoscello spoglio
uccide ‘l suo germoglio
e involasi al lagnar.
Al finestrel immobile
mi giaccio, e guardo fuori,
veggo che ‘l ciel pioviggina
incerti e foschi umori:
la nebbia piagne al suolo,
la neve è in sul suo volo,
e la bufera vien,
e lunge scorgo ‘l margine
nebbioso d’una pieve,
il campanil si spasima,
e la campana beve
un fior di questa pioggia,
vicin sen sta una roggia,
e n’è ghiacciato ‘l sen;
e iscopro un’ombra in tenebre
d’un cimiter vegliardo,
tra l’oidi le sue lapidi
mostrano un fior beffardo
di rosa senza Vita,
e la Natura ardita
si dorme in rio dolor...
e i bei cipressi e i platani
che stanno in sul vïale
in tra le nevi tremano
e in sul freddo maëstrale,
e quivi disadorni
son pure i tigli e gli orni,
ed io mi strazio ‘l cor.
Pe’i campi i corvi gridano,
si giacciono in su’i fieni,
le gallinelle raspano
i solchi - quei più pieni
di freddi vermi - e vanno
in questua dell’affanno,
e forse allor morran;
e l’alte vette orribili
de’i monti io scorgo appena,
un senso e un neo di brivido
m’assalta ‘l cor, l’ischiena,
e delle nebbie è torto
se ‘l volto mio ch’è smorto
non può veder lontan...
e sento l’urlo e ‘l gemito
del can d’un cacciatore,
d’un corno intendo ‘l sibilo,
la vittima che muore,
e in sopra d’una cuna
tra ‘l sangue v’è la Luna,
e il vespro or qui verrà,
e all’orizzonte gelido
m’è ignoto ‘l suo venire,
non v’è tramonto, esanime
tra fosche va a morire
il grigio cielo, e grida
la neve torva e infìda
che più non ha pietà.
Orror del verno, oh ceruli
nembi d’ignoto colmi,
oh piogge, oh nevi, oh frassini,
oh rei arboscel degli olmi,
oh fredda e inquieta Notte,
oh calli, oh campi, oh grotte,
oh freddi e cupi avel!
V’ammiro e tremo, e l’attimo
truce di voi aborrisco,
mi siete e cari e ignobili
e questo canto ardisco
alzar al vostro core,
Poëta son d’Amore,
lontan, vicino al Ciel! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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