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Se per incalzo di pensier d’amor
acerba insonnia in veglia mi costringe
e irrespirabile un miasma si innalza
da acqua stagna d’assenze
fammi compagnia chitarra mia.
Varchiamo il silenzio che ci cinge
e il cuore assedia d’improvviso
da accordo di risonanze non più udite
rianimo e respiro riprenda quest’aria muta.
Non t’avvedi cordata dalle sette note
di come prossima si fa tristezza
lento e crudele il durare dell’ora inane
poi che anche il tuo conforto mi sottrae?
Non senti come sbreccia e piccona
l’Effusa con il suo suono senza voce
come a stilla a stilla,
poi incoercibile fiotto
fluente riempie l’invaso del cuore?
Scuoti le tue corde
da tanto chetate:
strimpella, stridi pure
ma conforto dispensa all’anima mia
su questa nera oscurità distesa!
Ch’io intonando fado
vibri per amor perduto,
eco rioda dei palpiti appassionati
che sonorizzarono i miei giorni;
ancor riviva l’emozione andata
di cui nulla mi resta e che, sogno,
mai verrà nella notte che mi aspetta!
Tu certo non vuoi
ch’io anneghi nelle mie lacrime
recluso nell’antro ove Tempo mi consuma!
Ariosi i tuoi arpeggi mi accompagnino,
botti a spuntar d’alba
festa annuncino a cuore immiserito
da lutti ed abbandoni.
Voluttà conturbanti aprano danze,
la mente invitino ad altre sarabande
prima che stanco, fattomi in penombra,
a nèttare di morte labbra conduca. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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