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Al finestrel giacevasi -
assorta vêr l’ignoto -
una madama in lagrime
che ‘l picciol labbro immoto
tergëa e d’acque e d’aliti
e d’ombre d’ansio cor,
e al davanzal lagnavasi
al ciel del vespro inerme,
e ‘l guardo figgea attonito
ai monti e all’ossee terme,
e alle selve, e ai roridi
steli de’i stanchi fior.
Sedeva in su una seggiola -
ossi d’un veglio noce -
ed ai suoi piedi stavano
orme d’inchiostro e voce
di scritte e care lettere,
e rotti e rei sigil;
e v’eran poi le forbici,
e bianche penne d’oca,
e nastri pien di polvere,
e una candela fioca,
e tante spille e intingoli
di sete e d’altri fil.
Ella sen stava in camera,
solinga e in pianto ansioso,
tra l’anticaglie assalsele
l’ombra del miser sposo,
e la sua Vita parvele
un mar d’affanno e duol;
e in fasce un bimbo... un cucciolo
teneva in braccio, e a destra
in sulla spalla fragile -
presso la sua finestra -
avea di pezza un bambolo
che diedi un dì al figliuol...
Ed era questa bambola
tersa di sangue umano,
era di bende un cumulo
d’una tremante mano,
ed era un don che un misero
pel figlio suo intrecciò;
ed era forse un ussaro
fatto di terrei stracci,
i rossi manti urlavano
l’orme di mille abbracci,
ed era un bacio, un palpito
che lungi un padre urlò.
Era un dragon di porpora,
un granatier possente,
il mesto volto esanime
d’un pover uom morente,
sonava al vento ‘l piffero,
la carica in sul ciel;
e qual conchiglia è solita
ridir del mar lo spiro,
nelle sue fauci e viscere
ei ripeteva ‘l tiro
de’i gran cannon che uccisero
lui istesso e i suoi fedel.
Volava l’eco insolita
fino a salir agli astri,
voce crudel d’un òbice
che strusse pur i nastri,
e presso la Notte indocile
pingevasi in mister;
e fece udir le sciabole
al bimbo appena nato...
le spade insan che assalsero
il padre sciagurato,
e ripeteva ‘l cantico
dell’anglo granatier.
Queste fûr pezze d’uomini
morti in furor marziale,
bende amputate e tossiche
lane d’un reo spedale,
furô l’estreme lagrime
d’un prode che spirò:
un uffizial giacevasi
in sotto ‘l Sol di giugno,
stava morendo e ‘l debile
dischiuse ed orbo pugno,
e spento in sur d’un’amaca
tal bambola gettò,
ed oltre l’aspra Manica
la riportâr i pari,
ed alla sposa diederla,
al figlio e agli altri cari,
e l’empia nuova dissero...
dissêr che lui morì;
e allor la mesta vedova
dal duol fu vinta e svenne,
lenta riprese a vivere,
sempre tai stracci tenne,
passava ‘l giorno pallida
e tanto in cor soffrì.
Al finestrel lagnavasi -
cullava ‘l bimbo ignaro -
udiva un inno effondersi
in sul gran ciel amaro -
era di gloria un cantico -
e pianse dal dolor;
e ‘l suo figliuol destandosi
le chiese in pianti ‘l latte,
un orfanel d’un padre
morto tra l’orbe blatte,
ed ella ‘l sen porgendogli
lutti gli diè d’Amor. |
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