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Era di marzo un vespero,
battevan - mi par - le nove,
stavo ai giardin dolcissimi
di Vienna, e andavo dove
un delizioso frassino
coprivami d’oscur;
e allegro udivo i cantici
delle lontane feste,
scorsi volar tra’i nugoli
le rondinelle meste,
toccai le brezze instabili,
e i freschi e molli umor...
ed ammiravo i vergini
colli, le chete vigne,
udìa l’odor degli acini
e i miel dell’acre pigne,
scorgevo gli albi nettari
al suol cader a fil,
e mi gustavo l’anime
delle nerbute vette,
onde i ruscel scorrevano
pelle nascenti uvette,
e l’orbe brume assorsero
dall’orizzonte... Ed il
ciel di mister velavasi,
ultimo spir del verno,
l’ore notturne giunsero,
giunse un passar d’Eterno,
e qual furiosa folgore
la Luna si mostrò,
e tra le nebbie e ‘l stridulo
cespuglio appen gemmato,
tra’i rami inermi e squallidi,
tra’l piccol fior neonato,
e in sulle ascoste radiche
quest’occhio l’ammirò;
e i bei arboscel mi parvero
co’i lor archetti irsuti
d’un occhio esangue palpebre
terse di pianti muti,
e la lunar immagine
una pupilla in ciel:
risêr pallenti l’iridi,
chiaro ‘l suo globo pianse,
sfera d’azzur dell’Ecate
che ovunque allor si spanse...
guardo acquitrin e muliebre
che mi mesceva ‘l miel.
La luce bionda e languida
e bianca e densa e fine
cullava pur le tèrmiti
del ramo ignudo e incline,
baciò i germogli e i soffici
frutti, le bacche e ‘l suol,
e delle rie caligini
fendeva l’errante manto,
s’univa ad esse in brindisi,
vino con vino, e canto...
le seduceva ambendone
l’ale sottili e ‘l vol;
ed io... solingo... ed eremo
come un silenzio insano,
spettro d’un folle palpito
d’un cor perciò inumano,
in mar di solitudine
mi svenni ed affogai.
M’assalse ‘l sogno, assalsemi
l’illagrimata cura,
sentivo scandir le lagrime
il ritmo, ed un’oscura
lagna pietosa e supplice
in sugli umor urlò,
udìa le dita e i pizzichi
del vento in sull’aorta,
le vene mie divennero
corde di cetra, e assorta
in sulla Notte lurida
una canzon sonò...
ed io sognavo gli agili
e dolci e nobil cocchi,
il duom di Santo Stefano,
le torte, i balli; e gli occhi
d’una fanciulla austrïaca
- e incognita - sognai;
gustai le regge, i portici,
i ciel d’un marmo regio,
i ponti scorsi e ‘l limpido
Danubio pien di pregio,
e vidi quella giovine
che più non vidi mai.
La vidi al chiar d’un incubo
effuso in sulla Luna,
un nero sogno e un vortice
di Musa bionda; ed una
nascosta stella tolsemi
il senno e pur lo spir.
Orecchie e carni morbide
d’un’orchidea, d’un pesco,
naso sì pio, ed angeliche
guance di stral donnesco,
collo d’ambrosia e alcolico
docile e bel sospir.
Labbro di sacher, tenero
mento di marzapane,
crine di miel e orefice
di bionde e chete lane,
sen di ciliegio e fragola...
sogno che fu illusor;
e questo chiar di torbida
candida Luna ombrosa
tremendo allor destavami
dalla sognata sposa...
e piansi... e urlai... e tacquesi
quest’attimo d’Amor. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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