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Lenta mi culla la Notte, e quest’attimi
d’inquieta ambascia mi gelano ‘l senso,
ascolto ‘l vento che scalpita e ‘l denso
cader dell’acque, e corro a tremar;
e fuor precipita il ghiaccio, ed il turbine
dell’aër folle si mormora e freme,
ulula ai nembi, e grida e non teme
ch’alcuno venga ‘l suo spiro a fermar.
Qual mille dita che palpitano ai tetti
odo che s’agita la fredda pioggia,
e cade e bussa... e tace e s’appoggia
sull’empie tegole ove morrà;
ed io - me misero - sento i suoi getti,
e inorridisco... ed ella nol sa.
Iscoppia in cielo la lucida folgore,
ne sento ‘l murmure, l’aspra canzone,
e un nembo isfida un altro a tenzone...
ecco! si scontrano; e tòna allor...
e come spilli pungenti la grandine
batte e percòte la terra inondata,
e ‘l ciel singhiozza ai nembi, e l’armata
mano de’i fulmini spira in furor.
Un’eco in doglie spettrale s’aggira,
bussa alle porte, all’empie aperture,
e grida ed ansima parole oscure,
e terre e rivi vuol fare patir;
e come ‘l canto d’un cuculo in ira
avvolge ‘l cielo d’un torvo sospir.
Tremo e men giaccio al lume d’un cero,
la Notte è torrida e formido è ‘l grido
del vento infame... ed urla, e l’infìdo
nembo là mugge sul far del mattin;
e ‘l sonno inquieta la grandine, e irride
l’ombra de’i fulmini un sogno ameno,
ed è la pioggia fors’anche veleno
per chi d’insonnia n’attende la fin.
Eppur io sogno; ed oltre ‘l verone,
e oltre i miei muri, e oltre ‘l finestrello,
sopra le siepi e sopra un ruscello
mi pingo gli astri e un flebile stral...
e sento i turbini farsi canzone
pel sonno allegro d’un mesto mortal.
Oltre le roride querce, oltre i pruni,
oltre le fronde de’i faggi innacquati,
oltre le foglie, su’i cieli dorati
da’i freddi tòni, da’i lampi crudel;
in sulla Luna dal guardo di ghiaccio
veggo che scorre lo stormo del vento,
ed è uno spettro... un’alma in tormento,
un aspro sibilo d’un fosco avel...
e in codest’attimo d’empio terrore
rabbrividisco, e pallido oscillo,
e sento ‘l tòno, e l’egro suo squillo
m’empie di doglie... e d’aspro velen;
e non ho pace nel sonno, e quest’ore
mi son moleste... e ‘l duolo sovvien.
Sento che cadono le piogge, e i fulmini
corrono inquieti pell’egro orizzonte,
e bussa ‘l ghiaccio ai rivi, e alla fonte
che lentamente riempiendosi va;
e ‘l soffio orribile del gelido alito
de’i nembi, mormora e crudo gira
e grida ed ansima ricolmo d’ira,
ed urla sempre e senza pietà.
Allor mi desto dall’incubo breve
e tremo e imbianco dinnanzi agli effluvi,
e nel dolore di questi diluvi
piango e mi lagno e vado a tremar;
e poi m’accorgo che in sul vento greve
è van patire... pur vano è ‘l sognar. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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