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Cantan felici l’Ebridi,
la dolce arpa è al collo,
piangon le spume candide
lungo ‘l ghiacciato atollo;
e dalle spiagge un murmure
de’i bardi scende al mar.
S’ode pel vento ‘l celtico
canto del cardo allegro,
l’eco pe’i monti donasi
al ciel che brilla negro;
e la tempesta sanguina
e mugge e vuol tonar.
Le cornamuse soffiano
lungo le vaste valli,
son le canzoni ataviche
e i dolci e i lieti balli;
e questi carmi gemono
cupi di mesto Amor.
Vagan raminghi i druïdi,
colgon gli amari vischi,
seguonli i tristi ràpsodi
coll’arpe, i canti e i fischi;
e dalle querce ottengono
i toschi e i truci umor.
Volan pell’aure i pallidi
de’i prodi estinti spettri,
la cornamusa tengono
in spalla e in man gli scettri;
e in sulla Notte lugubre
danzan su’i freddi avel.
S’alza ‘l funereo anelito,
l’odor del sangue estinto,
tra le gonnelle e i pifferi
giace moriente ‘l vinto;
ed un guerresco monaco
lo benedice al Ciel.
Sugl’alti poggi scrollasi
l’ombra del mar aprico,
le nevi eterne coprono
le valli e ‘l picco amico;
e le betulle infiorano
di gemme tinte d’ôr.
I salci e i pruni nascono
all’ombra della Morte,
sorgon dall’ossa putride
d’un’egra e spenta corte;
e tra le nebbie celtiche
si lagnano i cantor.
Van pelle selve in spasimo
i mesti e bruni cervi,
i cacciator li seguono
taglian del core i nervi;
e anco d’un cruor di porpora
si tinge ‘l pio ruscel.
S’odon le corde tremule
d’un’arpa cristallina,
brilla d’argento e d’opale,
commòve pur la spina;
e molle e fresca sanguina
di caldo e amaro miel.
Dal monte in neve elevasi
l’ombra d’un’aspra rocca,
morte le torri in ruderi
sembra un’infranta brocca;
e tra le sale vagano
spettri tra tanti spir.
Grida l’infausta immagine
della crudel Stuärda,
cola poi ‘l sangue orribile
e un bruto teschio ‘l carda;
e dalle nubi i fulmini
i vivi fan soffrir.
La cornamusa lugubre
geme ai defunti lari,
lungo le tombe e ‘l cenere...
lungo l’asil de’i mari;
e tra le brume lucide
prega pietade e onor.
I corni allegri gridano
lungi dall’empia sera,
chiaman la preda incredula;
e come bianca cera
cola del cruore un argine,
e ‘l cervo poscia muor.
L’albe donzelle danzano
mentre tramonta ‘l giorno,
urlan le dolci cantiche
al pruno e all’ombra d’orno;
e un mesto bardo s’agita
e canta «My Nanny, O!».
Soffian l’aurette bretoni,
geme la triste Irlanda,
lungo i martir dell’isole
la neve un fiordo manda;
e lungo ‘l mar terribile
mai remigar si può.
Va pelle selve ‘l druïdo,
il vischio infausto cresce,
coglie dall’acque pallide
un orso un liscio pesce;
e i fieri bardi vogliono
le lor canzon sonar.
Giace in sul mol d’un eremo
un uom che piange in pena,
geme d’Amore indocile
lungo la fulva vena;
e van le crude lagrime
per sempre in cor del mar. |
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