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Sempre son mesto e l’aër che scalpita
crudo m’uccide al son de’i tifoni,
e tra le ruvide onde e i monsoni
vivo irrequieto del sale e del mar.
Veggo le stelle mulatte del cielo
e sento i palpiti di quest’Antille
crudeli, e intendo sul ciglio le stille
d’un secco pianto che vuole gridar;
e l’aspra sciabola, l’egra pistola
tengo al mio fianco, e ‘l nembo m’opprime
ed il vascello la viva carola
danza de’i turbini, ed è sublime.
Viene la sera e sento dall’isole
della mia pena l’allegra habanera,
e l’urla e i spasimi d’una preghiera
tetri m’infondono strazio e dolor.
Odo da’i lidi le negre canzoni
e i cupi spiri del bianco cotone,
e tra’i canneti l’ispane corone
struggon gli schiavi co’i ferri e ‘l lavor.
Geme dal carcere un prode amico
e grida esangue la donna che adoro,
ed io l’ispanico pur maledico
nell’ansia questua d’un empio tesoro;
ed io dal calice d’un reo fucile
bevo la polve d’un molle liquor,
ed io son libero d’essere vile
ma sono schiavo gemente d’Amor...
e non ho pace, né un covo e l’approdo
l’onde mi negano dell’ansio mar,
e delle piogge l’alcolico brodo
gusto tra’i gemiti e bramo sognar.
Ah sì, che naufraghi! M’inghiotta ‘l mare!
Spiro infelice tra vele e cannoni
e muojo mesto; e non mi perdoni,
o Ciel mulatto, le colpe del cor...
e sono ‘l prode che vessa i Caraïbi,
e son la libera furia dell’onde
e scorgo in incubo le chiome bionde
d’un’alta stella... Io muojo d’Amor. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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