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Scorgo ne’ pressi d’un calle che strilla
le pietre e ruderi d’un monastero
e l’aspre tombe ed il cimitero
veggo, e dell’anime sento i sospir;
e la campana che bacia la torre
si mòve esanime al vento e al Fato,
e geme e grida e ‘l ciel appestato
copre di gemiti e di soffrir.
Salmodia ‘l lupo ed urla la monaca
e la civetta si terge l’artiglio...
e in sulla sera il nembo è in scompiglio
e va lo spettro a sparger terror.
Viene la Notte; e come una tonaca
copre d’oscuro la tomba che muor.
Sòna la Luna il bronzo fatale
e chiama i morti la ridda a danzar,
e ‘l salmodiante abate è spettrale
e dalla cripta si vuole destar.
Le fulve pietre del sacro abituro
cupe si tingono di freddo sangue,
e ‘l fosco vento le tinge d’oscuro
e un aspro gemito s’alza e si langue.
L’occhio del Diavolo, fattosi pietra,
scruta ‘l rosone e gl’archi e le porte
e sona orribile un’orrida cetra
e l’ombre sparge di peste e di morte.
Bragi di foco e freddi gargolla
chiaman gli spettri per sempre a vagar;
e ‘l duolo infame l’orrore non molla
e ‘l ciel s’uccide... e brama sognar.
Scorgo ch’aperto si mostra ‘l portone
ed entro incauto e vado all’altare,
e la navata non sa che gridare
bestemme oscene ai miei aspri martir;
e degg’io sempre penar da profano
d’in sulla croce d’un calice fosco,
e sempre bevo le gocce d’un tosco
che mesto spreme un molle desir...
e in questa Notte, Impero del Male,
gemo e mi pento... e allor mi percòto,
e ‘l labbro esanime tace e ‘l suo voto
scende a ferirmi nel mezzo del cor...
ed io svanisco, e niente più vale,
e spiro in ansia, nell’ansia d’Amor. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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