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Nel sospettar che il pensier mio svanisca,
dentro al mi corpo s’arrintorcina i’ sangue
però non reco danno alla ragione
che non s’avvede il temine arrivar.
Quando col son d’i core
prostrato me ne accorgo,
inizio a riconnetter quel poco di ragione
che subito s’appresta a farmi vigilar.
Allor compianto passo, mi fermo a esaminar
tutti l’oggetti e l’omini che sono a me vicini.
Li miro malinconico perché ragion ferisce
tutti color che sanno che prima o poi s’andrà.
Non male dolorante, non la temuta angoscia
solo freddo solar, mancanza di colori
che udito sì, non fa paura a’ alcun
ma che, ora vissuto, accresce il mio terror.
Quale maldestro nome possiamo immaginare
per questa scura ancella fedele al suo lavoro
che da tant’anni sta, li ferma ad aspettare
no un omo qualsivoglia, ma ugual’ a me perfetto.
Battezzo lei “paziente” perché da lungo ciclo
avrei dovuto darle gli ultimi miei rintocchi,
ma con grande maestria fuggendo i nostri incontri
attonita e perplessa rimasta è lì a’ aspettar.
Son pronto per cambiare e diventar chissà,
chetando la paura che da ogni parte abbonda;
mi cibo di quest’attimi come di quel’amor
che nel mio cuore, ho messo, per una vita intera.
Mi fido del creato e del suo inquisitor
perché che creda in lui o sia blasfemo pieno
la falce della dama annullerà per sempre
l’ultimo mio bramante respiro per campar. | |
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