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Io sono quegli ch’è luce di tenebra,
saggio ignorante e stolido atòmo,
e sono la flebile carne d’un uomo
che mente... e irride le posse del Ciel;
e son la furia del caos primordiale,
sono le stelle più oscure, e mi vanto
di quest’assillo che m’agita tanto...
santo non sono, ma sono crudel.
Io sono quegli che strepita e dubita,
corpo che spira... e vita ch’è sazia,
e non mi cale sapere di grazia...
del Ciel... dell’anima che vive e muor;
e sono libero nel bieco mio ordine,
e son l’amore - l’amore ch’irrido...
che struggo - e sono l’indocile lido
per lui che naufrago ha l’Odio nel cor...
e son la rosa che muore appassita
poscia un sol giorno d’impavide nozze,
e son le forme dell’orge più rozze,
e son la morte di gioja e piacer.
Io sono quegli ch’uccide una fola,
son l’assassino del fragile Empiro.
Chi è Dio? Chi è Dio? Una menzogna, un deliro...
turpe vergogna d’un lento sentier;
fier sono e tanto... e sono la vera
meta d’un essere sorto dal Nulla,
e sono un’ombra che canta alla culla
sogni ed incanti che poi struggerò...
e son il libero, dolce pensiero...
son libertade che l’uomo incatena,
mille opinioni che scorrono in vena,
e sono ‘l solo che ‘l vero offrirò.
Io sono quegli che libera ‘l mondo,
foco d’Inferno nascosto tra’i fiori,
e sempre rido dinnanzi ai bei cori
che mesti e illusi inneggian al Signor;
e sono Satana... l’ignobile Angiolo
che un giorno cadde dal limpido niente...
e sono l’unica superna mente,
sfere dei cieli commossi in furor.
Io sono quegli che l’ôr delle chiese
vuol ridonare ai miseri oppressi,
e son la sete dell’avide messi,
sogno possente di gloria e poter;
e son la terra che copre la fossa
mesta e comune de’i prossimi santi,
e son lo sgherro che crudo fa infranti
i ligi volti che denno cader...
e son rivolte di popli indecisi,
serica serpe che strugge i deserti
e voglio tôrre ai regi i lor serti
perché dell’orbe son l’unico re...
e son l’ignuda fanciulla che porge
l’insano ventre al maschio desiro
e sono ‘l flebile, dolce respiro
d’un puro feto che strugger si fè.
Io sono quegli ch’uccide l’ovile,
e son le grida de’i piccioli armenti...
e sono un padre che mille tormenti
volge ai figliuoli; e tanto mi beo
d’esser crudele con ogni famiglia,
e son la madre dannata al ripudio...
e sono in questo l’assiduo preludio
del niente oscuro... del Nulla che creo...
e sono ‘l Genio che al settimo giorno
anco disdegno di starmene in requie
e son migliore d’un Dio cui l’esequie
assisto allegro tra’i biechi delir...
e sono l’unico senno ch’inventa,
che l’orbe aggioga all’alta sua legge...
e son la libera furia che regge
di lui che muore un ultimo spir.
Io sono quegli che gonfia di nebbie
gl’aspri sepolcri e l’arido ossame,
e sono un verme che placa la fame
col muto cenere del fosco avel;
e son la Notte, tremenda e infinita,
ove si lagna la nottola truce,
e son chi nega la debile luce
all’orbe infame schiacciato dal ciel...
e son lanterna che brilla di giorno,
e che di sera si spegne e si stanca...
e son l’oscuro che d’olio pur manca,
e son la Luna che tosto morrà...
e sono l’Odio... la guerra... le stragi,
fedi impazzite nel cor di menzogna,
e in questo male non provo vergogna,
né questo core riserbo saprà.
Io sono quegli che mente sublime,
io sono quegli che in cor non ha tema;
eppur mi naviga l’alma che rema
sull’acque sante, su’i Ciel del Signor...
e muto scorgo che ‘l Nulla cui miro
indarno grida pel mondo in tumulto,
e presso a morte men sto... e m’occulto,
ma mi raggiunge lo stral dell’Amor. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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