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Nivei diamanti di fiamme ghiacciate,
nebbie che coprono la steppa intiera
urlano in duolo; e l’arida e nera
goccia di sangue par gemma che muor.
Putrido ossame invita le belve
come la carne d’un tristo convìto;
e ‘l ciel che piove pur sembra contrito
mentre qui annusa l’essenza del cruor.
Appresso ‘l rivo che vuol annegarsi
giace un’imago che l’anima esala;
ed è una dama... una dama che cala
come una stella nel mare de’i Ciel.
Dorme in eterno qual placida forma
che d’età verde per sempre si pasce;
ed è una rosa che gelida nasce
morta sull’erbe che spremonle miel.
Ha ‘l labbro aperto e terso di sangue
e chiuso ‘l ciglio e l’iride ferma
e bianca fronte... e rigida ed erma
l’alta sembianza che ‘l spiro esalò.
Ha ‘l biondo crine e ‘l volto che giovine
effonde nobili sensi dal core,
e ‘l sen ferito, nel guardo d’Amore,
da un reo moschetto che truce sparò;
e ‘l corpo smosso, le vesti virili
e l’aspra sciabla che giace in sue dita
dicono ch’ella ha offerto la Vita
in spoglie d’uomo per folle mister.
Seguiva, infatti, l’amato messere
che in cor degl’ussari si dava all’arme.
Ella sentito l’estremo suo carme
giurò seguirlo pel mondo anco intier.
Venne la pugna; e nella bufera
le truppe vivide versâr le posse;
ed urla e spari le languide fosse
fra duoli e pene tremendi scavâr.
Ella che in spoglie mentite di prode
co’i granatieri pugnava ispirata,
travolta venne e poscia pestata
da’i cavalieri che ivan a pugnar;
e fra costoro sen stava ‘l suo amato
ignaro e baldo e formido e fiero;
e nella foga dell’albo destriero
pugnò ‘l rivale e lungi ‘l seguì.
La dama tremula in doglie atroci
gridava muta e cieca piangëa;
allor un fiero che sì la vedëa
prese ‘l moschetto e al cor la colpì.
Ora sta morta tra nebbie di guerra,
splendida e giovine... e cara al vento
e spenta dice coll’ultimo stento
«T’amo, mio amato... Per te morirò!».
Volea sposarsi e crescer de’ figli.
Ora quel figlio che ‘l ventre le infiora
è ‘l bruto verme che lento ‘l divora,
germe meschino che ‘l Fato donò.
Orrore! Orrore!... Dappresso ‘l suo frale
corre furioso un franco plotone
che tristo lacera d’ogni prigione
l’ugola e ‘l core che denno cader.
Balza una testa che grida mozzata;
ed è l’amato di questa fanciulla.
Cade alle braccia di lei che nel nulla
sembra tuttora poterla veder.
Una carezza... un’ultima veglia...
un mar di sangue... La destra ella posa
morta ma dolce com’umile sposa
sul mesto volto d’un uomo che muor;
e ‘l cruor che cola dal collo reciso,
e ‘l sangue terso del morbido seno
insiem si fondono come un veleno,
qual fosse l’ultimo bacio d’Amor. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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