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Un urlo... muto... Il nuvolo stride,
soffoca l’eco il sacro silenzio...
Un grido... sobrio... La pioggia d’assenzio
ride beffarda... Un singhiozzo! E par
che pianga ‘l cielo... Orrore dell’ora!...
Tremulo e cupo il lugubre spettro
vola del tòno... impone lo scettro
su’i fior, su’i colli... su’i monti, su’i mar.
Un fischio... tristo... Il vento s’espande,
brivido freddo che agghiaccia le vene...
Danza e s’invola per stelle terrene,
l’ombre commosse di tedi e tizzon.
È un corno languido di caccia infame...
tòna... e istrione nell’eco si cela...
ed è ‘l suo nembo un’òrdita tela
tessuta a sangue... trapunta a speron.
Sembra d’un flauto il diesis più fosco...
eterno e muto nell’urlo d’un monte,
nel tronco viso d’un’arida fonte
pell’aër bieco del cielo che muor.
Sembra la fredda impronta del pianto,
un lampo osceno che bacia ‘l pudore...
Si desta e balza dal lungo sopore
e va sublime a bersi ‘l suo cruor.
Orrore... crudo... La folgor schiaffeggia
i quieti fiumi... le vette armoniose;
e incide ai ghiacci l’impronte focose
d’un nembo ignudo che muggendo va.
Abissi e mari... e cime de’i cieli
franano a neve su queste montagne,
bell’urla nostre!... E l’ultime lagne
rispondon tosto «Oh cieli siam qua!».
Lampi golosi di gusti montani
mangian polenta di rocce pur fuse
dal ghiaccio eterno; e valli confuse
tremano insane al bieco tònar.
Sull’alto monte ferito nel petto
la pioggia scende... È avida e sola,
e ‘l sangue fulvo che formido cola
dell’ametista s’infila a gustar.
Grandina... orrore!... Le spade di neve
squarcian la terra... i sassi e le selve.
Son bianchi greggi che sgozzan le belve...
lupo che ossesso si mòve in mister.
Un urlo... brezza di vento placato!...
Un tòno... possa che muore nell’eco!...
Il cielo giace velato qual cieco,
tremulo e freddo... coperto di ner.
Ma cos’è? Un alito di novel etere,
mistico arpeggio d’un’Iri di gnomo...
Svanisce ‘l lampo... e un seme d’atòmo
germoglia in gemme preziose del Sol.
È un senso pùdico che sclama ardente
«Vinte le piogge non più v’è Tempesta!».
Io veggo, infatti, in cielo una festa...
su’i molli colli de’ nembi un bel vol.
Bell’Iri, o cara... bell’urna di speni...
seni di baci... tu allieti la fame...
Voli pe’i cieli e desti l’ossame
de’ nembi tersi che non piovon più;
e dolce e gaudio rimembro sì ‘l lampo...
e bella e lieve la pioggia spremuta...
Bell’Iri, o cara... io non t’ho perduta,
e la Tempesta tremenda... ormai fu! |
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