Passata l'una è troppo tardi, maestoso argine,
ma ancora ti trattieni ad inseguire questo fiume,
che ti disegna in ogni singolo tuo margine
e ti corrompe col fetore di quell'immondo pattume,
di tutte le scorie di una città giammai perduta,
nello sconforto di una volontà ormai decaduta.

Solitari uccellacci neri volano talmente in alto
che, mentre che ruggisce il velo del paradiso,
nell'istante cui luminescente il grigio asfalto,
livido ostenta il volto suo pantomimico e, fiso,
lascia calcare sulle sue membra rustici pini,
paiono offuscar lo sfondo chiaro di scuri crini.

E mentre danza l'inchiostro su questo foglio,
avanti che la luna arrivi alla meta del suo arco
e l'erbetta vada alla deriva di qui allo scoglio,
ermi battelli s'apprestano a solcar ogni varco,
diretti ad ormeggiar là dove l'occhio non vede,
intanto che la ragione s'offusca nella sua fede.

Nugoli s'ammassano candidi e spumeggianti,
come se di zucchero fossero le loro vesti,
e s'espandono quasi a ricoprir lussureggianti,
tutti gli spazi di questi solitari campi agresti,
all'ombra di quella tela che tacitamente parla,
che lascia ogn'orecchio sbigottito nell'ascoltarla.

Le prime luci accendono il tuo margine sottile
e danno vita a quello che parea poc'anzi morto,
canti d'uccelli chiari, disposti in lunghe file,
dando saluto ai primi bastimenti giunti al porto,
segnano l'inizio dell'incipiente ciclo della giornata,
per ogni persona che ti solca appena è sbarcata.