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Sotto il frinio delle locuste,
coperto dal tepore del tuo scialle,
ai pie’ delle bletille a suon di fruste,
sopra gli arbusti della tua valle,
nel rimembrar forme tanto sinuose,
mi quieti dal pensier delle mie cose.
Lontano s’òde stormire il tuo fruscìo
e lo strepitìo del vento secco,
sali di viottoli sul tuo pendio
cadono in branco da quello stecco,
solo al pelago dell’orizzonte,
sovra il muto di codesto monte.
Ed io lo fisso e so che lui mi guarda,
che mi capisce anche se non parla:
ombra del buio della notte tarda
brucia su questo colle per disfarla,
quella luce che ti rivela a tanti
e che ora mi appare davanti!
Su di una veste frusta di sterpaglie,
frustoli spiantati di rigoglio,
muovono tra i fili delle maglie,
a spire sul tuo dorso spoglio:
aureo colle che piano ti risvegli,
nella notte su tutto quanto vegli.
L’olezzo della melagrana muta,
bocca su cui poggiar la parola,
fodero della mia lingua arguta,
tra i fuscelli secchi fa la spola,
sotto gli spifferi del tuo respiro,
mentre ti disegno con la biro.
Ormo sui tuoi lidi sconfinati
l’acqua attingo dalla tua fonte:
smerigli di ghiacci lastricati,
or tutt’attorno così pien d’impronte;
ma quanto ho davvero passeggiato
per arrivar dove son’arrivato?!
Coi suoi oceani immensi,
ogni radura spianata
tinta di rovi e meandri densi,
nel dolce dell’acqua cascata,
asperge ogni punto della mia fronte,
giù per la tua vallata, oh Monte! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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