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Solea condurre raminga i suoi passi
e meriggiare pell’aura de’ campi
quando la vera schiudevasi ai sassi,
ai boschi ai fiumi del gallico suol.
Vedea felice risorger le spighe,
crescer con esse la flora fiorita,
danze di rose, di viole, di Vita
presso gli strali del morbido Sol.
Povera e scalza correva alle ripe,
ove le rogge bagnavano ‘l grano,
vesti tingendo di fango la mano
i giovin piedi, lo straccio in sul cor.
Rideva gaudia ricolma di quiete
volgea le guance vêr nuvoli bianchi,
libera e sola pe’ i boschi de’ Franchi
qual rondinella sugl’agili umor.
Era la festa. Preghiere e campane
solean destare gl’interi villaggi
or con carole di zingare insane,
or col sermone di santa pietà.
Ella volgeva lontan dalle genti
vêr la rovina di romita pieve
tosto fuggendo con passo sì lieve
le gaudie ciarle d’amore e amistà.
Natura cara a quell’alma gentile
era co’ Cieli, col senso interiore;
e nulla v’era per lei di maggiore
quando correva alle soglie del Ciel.
Giunse alla pieve.
«Giovanna»
una voce
di santo rispetto ch’usciva dal core
le disse
«Giovanna»
una lode
di molle diletto temprato d’Amore.
«Giovanna»
ed ella
si sconvolse
di folle desiro confuso a timore
con pallida fronte che poscia sudò,
guardandosi intorno con guancia smarrita.
«Pulzella»
un segreto
di mistico sogno che prese la Vita
le disse
«Pulzella»
una luce
di tepido Sole che ‘l fece sopita.
Ahi Vita!... Ahi Vita
caduta in tremor!
Oh timore! Oh timore!
Giaceva immota, dormiente in sua veglia…
stesa sul suolo col ciglio dischiuso.
Bianca qual giglio col volto confuso
stette rapita da ignota vision.
Un vago
raggiar
di spirto donnesco ch’ordiva una trama.
Un dolce
parlar
di spettro divino che tenne una lama.
Un forte
dettar
di leggi interiori, di sommo voler.
«Giovanna… Giovanna, pulzella di Francia….
Giovanna, ti desta tra l’urlo de’ lupi.
Giuditta novella discaccia alle rupi
l’atroce ruggito d’un bieco leön».
Un crudo
vociar
di spirti nefandi ch’uscivan dal suolo.
Un bieco
gridar
di fochi crudeli che spargevan duolo.
Un muto
stregar
di volti infocati, di cupo terror.
«Dannata… dannata, servetta di regi….
Dannata, ti sveglia dal sogno del Cielo.
Incanto di strega dissolvi ‘l tuo velo
laddove gran fiamme s’accendon per te».
«Trionfino i Cieli!».
«Trionfi Satàna!».
«Arcana possa
trista e lontana!».
Orror d’una guerra… terror d’una speme!
Seme di discordia che inganno coltiva!...
Giuliva parvenza che ‘l Nume non teme
in sulla baldanza di fola corriva…
in sulla bandiera d’un empio dolor!
«Deh segui ‘l tuo core, Giovanna, l’istoria….
Non devi obbedienza alla legge tiranna.
Deh segui ‘l concreto raggiar della Gloria
lucente, celeste del Nume ch’è in te.
Le folgori i venti non dicono nulla,
non parla la Legge dall’alto de’ nembi.
Recorda le schiere, tremante fanciulla,
che l’Anglia lasciaron e Francia vastâr.
Nol vuole ‘l Signore mirar le catene
che al Franco umiliato ristillan dolore.
Nol vuole ‘l tuo core veder tali pene
che straziano i boschi del patrio tuo suol!».
Ella si destò…
mesta… colpita… affranta.
Cessâr le visioni
sull’ale de’ venti
qual sogno o illusione
beffarda
strozzata sul nascere.
D’intorno si voltò…
guardò i nembi… i cieli e gli abissi
de’ propinqui colli
e de’ lontani monti.
Poi pianse. |
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