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Sul giro de’ carri, sul crine del fieno
sul passo fugace d’un solo baleno
un lume si mòve d’amica pietà.
Silente ‘l rispetto delira si mostra,
all’ultimo fato si lagna si prostra
ché ‘l Genio che spira conosce e ben sa.
Nel lutto si chiude, Milano s’inchina,
s’estingue vegliarda la fiamma divina
nel languido istante d’un mesto morir.
Non v’hanno clamori d’imbelle tragenda,
non v’hanno gli applausi, non cala la tenda;
ma s’alza ‘l concento di pianto e sospir.
È questo l’estremo trillare d’un atto,
è forse ‘l soprano d’Amore o misfatto…
è solo la pena d’un Vate che muor.
Quell’egro respiro non ha che una nota,
vegliarda canuta la salma sta immota;
il sono si spegne. Quell’alma va fuor.
Il Vate d’Italia s’è spento per sempre,
non ha più vigore, non ha più le tempre
e giace sul letto d’istante fatal.
Un prete gli segna sul volto la croce,
clemente ripete le preci a gran voce…
un Nume lo chiama al Cielo immortal.
Nel timbro più acuto d’un prode tenore
che canta… che spreme dal petto ‘l dolore
non giace che ingegno di lui che morì.
Nel canto più molle d’un dolce soprano
che vola alle valli d’Amore lontano
non parla che ‘l Genio che in Cielo salì.
È questo ‘l finale d’un lirico dramma:
la Vita che scorre che vola qual fiamma…
ch’abbrucia le stelle… che corre a svanir.
Ma ‘l plauso si desta per tela cadente,
sul cupo sipario che schiude dolente
l’estremo mistero d’un cieco avvenir.
Ai figli rapiti da morte tiranna,
ai molli sapori di candida manna,
coll’ultimo passo t’invola e poi va.
Oh Verdi ritrovi dinanzi al tuo piede,
la sposa diletta, la palma di fede;
e ‘l dolce tuo sogno vien quivi realtà!
Quand’essi spiravan rapiti da tisi
volgesti a baciare quel labbro… quei visi;
ed ora quel bacio fia bacio d’Amor.
Oh Verdi cantasti d’un padre buffone
l’eterno conflitto coll’egro padrone
quand’eri tu padre colpito nel cor.
La morte padrona rapiva tua prole,
copriva la Luna quel raggio di sole
che lieto… che forte indarno ti fè.
Ma ‘l lutto segnato ruggiva per note;
il pianto che tristo solcava tue gote
nell’estro del Genio il piede movè.
Il pianto de’ figli, bambini innocenti,
il giovine labbro di baci stridenti
avresti prescelto; ma ‘l sogno svanì.
Divenne quel pianto la voce d’un arco,
quel bacio ‘l fagotto… il fiato più parco
e il nome tuo grande tra i sommi salì.
Famiglia diletta divenne l’orchestra,
la nota si fece la sola finestra
ch’al guardo ti porse la spenta beltà.
Sul soffio de’ flauti, sul dolce violino,
sul corno tremendo di bieco destino
i nembi del Cielo ti diedêr pietà.
Salisti a sfidare l’ardito Tedesco,
cantasti d’Otello, di Falstaff, di Fiesco
d’etïope schiava, di negro spagnuol.
Volgesti ne’ cori sul crudo oppressore
di Patria nascente l’eterno valore.
D’Italia seguisti le forme del duol.
Oh Verdi sei spirto d’un nobil passato,
l’italico sono t’ha molto lodato,
sei un Vate d’Italia ch’aleggia Lassù!
Recordi ai venturi le lodi, le trame
le belle canzoni di prodi, di dame….
Un sono mellifluo…. Un carme che fu!
Massimiliano Zaino di Lavezzaro |
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