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Quai Divi d’Olimpo, quai prodi di Roma
marciamo feroci sul freddo sentier.
Piumaggi fulgenti su rigida chioma
ravvivan fatali i nostri guerrier.
Le sciabole al fianco, le nobili bombe
ricangian le sorti del bieco pugnar.
Le schiere nemiche son croci di tombe,
la gloria e la morte di lor che spirâr.
Dal flauto che sona, dal cupo tamburo
al sibilo parco del ciel che tònò,
compagni di guerra, prendiamo quel muro,
il duce dal calle l’assalto ordinò.
Sien laudi alle fiamme, sien glorie ai mustacchi,
discenda dal Cielo Vittoria a gridar!
Né crudi moschetti, né folli cosacchi
le nostre granate potranno fermar!
Ma funebre canta la tromba che squilla…
che vola sì mesta pe’ i nembi del ciel.
Ai nostri gran còri discende qual spilla,
rimembra nel gusto l’asprezza del fiel.
Col petto sventrato, su pavida branda,
si lagna di morte l’eroe che pugnò.
Rifugge’l nemico, Vittoria comanda;
ma’l nostro compagno ferito spirò.
Di giovine etade, d’immenso valore
il bimbo e la sposa costui non vedrà.
S’è spento in battaglia, nel fiero dolore,
a tanto si presta la sua Libertà.
Veggiamo le stille d’oppressa famiglia
su gote innocenti copiose cader.
Sull’orfano parvo si spremon le ciglia,
e’l padre caduto non puote veder.
Le verba del rege palesan coraggio,
medaglia al valore per lui che morì.
Ma a sposa solinga nel tristo villaggio
quell’oro non lice, si spegne’l suo dì.
Qual ombre d’Inferno, quai vermi d’avello
moriamo perduti su bruto sentier.
In guerra e in battaglia sappiamo rubello
il viver oppresso del mesto guerrier. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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