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Batte la pioggia,
canta la notte.
L'acqua s'appoggia
su queste motte.
Bussa tremante,
tergendo il pianto.
Il ciel tònante
grida il suo canto.
Sospira il vento,
l'aura s'abbatte.
Dolce spavento,
l'acqua combatte.
Spira mortale!
Il cielo piove.
Pianto ferale
che mi commòve.
Urla la goccia
che il suolo tocca.
La rosa sboccia
nella sua bocca.
Terge le ciglia
l'acqua che geme.
L'eco per miglia
oblia la speme.
Ritarda il Sole,
il nembo sclama
«Dalle mie gole
il cor vi chiama!».
Sentite il canto,
udite il sono!
Da questo manto
si sente un tòno.
L'acqua che scende
sòna la lira.
Tanto mi prende
lei che sospira.
Un mesto chiasso
tocca le corde.
Ignoto lasso
viene e mi morde.
Mi bagno il ciglio,
di pioggia, forse;
pianto del giglio
ch'ivi mi morse.
Ascolto i passi
di questa danza.
Grido de' sassi...
della mia stanza.
L'ermo, l'arene
si bagnan tosto;
l'alte morene
al fianco opposto.
Si scioglie il ghiaccio
ma il gelo è forte.
Solo mi giaccio
in vana sorte.
Tetra tempesta
che canta ancora.
Tant'è molesta.
O Ciel, che fora?
Un urlo insano,
un grido bieco.
L'acqua che piano
entra nell'eco.
Un cigno bianco,
un bardo secco.
Un poeta stanco
che serra il becco.
La pioggia antica
che schiaccia il suolo.
L'aura nemica
che sclama «Duolo!».
L'aër si tace
a mortal vista.
Regna la pace
su sua conquista.
Allor singhiozzo
sulla Natura.
Il cor mi strozzo
in tal sventura.
Tu, goccia bella,
tu, pozza d'acque...
Tu, pioggerella
ove lui giacque,
poeta d'Amore,
poeta defunto.
Al Ciel suo core
sarà congiunto.
Un cupo accento
di morte bruta,
empio tormento
d'alma perduta.
Un temporale
ormai finito.
Soffia il maestrale
da ignoto lito.
Piange la veglia
per l'alme spente.
Ombre di cheglia
che vagan lente.
Un tristo detto,
crudo cantar.
Morto il diletto
lungo penar. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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