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«Destino d'una modernità che è destinata a passare e a ritornare a se stessa.» |
Inserita il 27/01/2012 |
E' l'alba,
il gallo spennato già canta,
i piedi filano il cammino,
ancora il sole, Maria santa,
riscaldi ora questo mattino.
Stagioni, voi siete passate,
fiacche come i miei passi,
sul viso, su colline inarcate,
su frutti molli e duri sassi.
Io bambino, il paese e la campagna,
i dolci fichi e il duro lavoro
giù col tramonto, la terra ristagna
e gli amici d'una vita sono loro?
Gracili vecchi,
fiochi su giacigli,
duri d'orecchi,
morti per i figli.
Ora la Notte afferra la collina,
tocca nel petto con dita di ghiaccio,
per le vie strugge l'occhio la gallina,
rapace e sola col bastardo cagnaccio.
Piangono i cieli
sulle vuote case
dai mattoni neri,
son gocce di pace.
Bianca
una luce,
lampo di fulmine,
piccoli gli occhi.
Buio torna
caldo soffoca
Vesti secche foglie
cadenti in autunno
Piedi piantati
nella terra nera
Rughe di legno
contorte nel corpo
Mani rovinate
innalzate al cielo
rami secchi storti
Il vecchio Ulivo raspava il respiro,
laide deformità sfregiava Tuono,
schiarendo Fulmine lo prendeva in giro,
come un bambino; nessuno il suono
dell'albero penoso sulla collina,
strappate le radici, questa mattina,
ha, quando spezzato cadette, sentito? |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«Un albero che cade in una foresta dove non vi è nessuno, fa lo stesso rumore?» |
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