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Tendo la destra... stringo forte il pugno,
pensando irrequieto dall'alta vetta
domino il vento, incateno la saetta
e catturo l'accesa luce del Sol.
Schiudo il ciglio... libero le pupille,
creando le tinte dal candido al nero
creo la Natura, entro nel suo mistero,
e mi pasco della sua linfa vital.
Lascio che l'udito voli tranquillo,
lascio che scriva nell'aure gementi
il sono de' lampi e degli elementi
e il sibil dolce della notte e del dì.
Domino! Reggo le sfere del cosmo,
Io, imago d'un Nume che in me sospira,
Io, che pel Cielo do sono alla lira,
all'acque posse, lieto profumo ai fior.
Sì! Sono finito. Ne son cosciente.
Non sono Iddio. Ma un attimo d'eterno
scende nel mio core, scende e io discerno
un'immortalità, un esser che non ho.
Medita, poeta, quanto l'Infinito...
fors'anche l'Infinito dell'Amore
possa contenersi nel dolce odore
d'una finita rosa che vive e muor;
medita quanto per sposi felici
sia eterno e portente il primiero stame
che offerto accese la fulgente fame
di quel sentimento che pari non ha.
Pensa che un crudo dolor passeggero
possa restar sempre in una coscienza
che già coglie eterna la gaudia essenza
d'un remoto piacer che mesto spirò...
pensa quanto possa un picciolo mare
apparir sconfinato senza fine
al ciglio che le spume malandrine
contemplante osserva nel beato stupor.
Sì!... Io ricreo ciò che ha creato il Signore,
perché Questi meco crei senza posa
continuamente questa aulente rosa,
questi torrenti, questo ciel, questo suol...
perché eterna nel nostro divenire
sia quella Volontà che rappresenta
il corso dello Spirto che diventa
e degli astri, del cosmo il beato cammin.
Penso nell'oscuro, appare la Luce,
sogno armonie eterne, si mostra il reale,
ho freddo e voglio il caldo, ecco lo strale
del Sole che culla la mia voluttà!
Impugno lo scettro. Comando il Fato.
Ciò che sarà della vita è in mia mano
tra tripudi che disperdono il vano,
tra cantici solenni di gioja, d'Amor.
Maraviglia! La Volontà dipinge
un equilibrio armonico tra l'alme.
Placidi i Popoli, le Genti calme
sotto l'ale della Pace che verrà.
Tu, orfanella... tu, martire di guerra
senza caldo affetto, senza sorriso
nell'ignoto troverai allora un viso,
una lieta fuga dal crudo soffrir.
Tu, servo... tu, preda de' baldi regi
spezzerai dunque le dure catene,
curerai con conforto le tue pene,
e tosto scorderai l'infamia che fu.
Volontà! Conta il danaro lurido
delle guerre infame prezzo e bottino...
Contalo; e ardilo! Consuma il meschino
nel foco che l'ingiustizia ucciderà!
Bello il cosmo che ora mi rappresento
intuendo un lume che qui mi rischiara
nel fondo deliro che mi prepara
a cogliere me stesso e il Nume d'Amor!
Sublime ascoltare quell'Infinito
che sommesso parla ai vaghi recessi
dell'interiorità che pegli oppressi
si lamenta e pur continua a lagrimar!
Uniamoci, uomini! Stringiamci insieme!
Seguendo la leggiadra, graziosa orma
suvvia! diamo allegramente la forma
al nostro mondo... alla nostra Libertà!
Non generiamo più schiavi! Su, forza!
Ma doniamo all'aurora, alba novella,
uomini liberi, strali di stella
che al passato oscuro grideran «Mai più!».
Serro il ciglio. Velo l'udito. Fremo.
Abbandono il pugno. Sì! Mi rilasso.
Mi commòvo! Veggo apparenze, ahi lasso!
Ho vissuto nell'Ideale...
ho vissuto nell'Amor! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«In memoria di Johann Gottliebe Fichte e Arthur Schopenhauer, filosofi romantici» |
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