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«Talvolta qualcosa che assomiglia alla rima si può trovare all’inizio delle parole, anziché alla fine. Le parole che terminano allo stesso modo alla fine dei versi sono gradevoli per il suono, per la musicalità che danno alla poesia, ma non possiedono una somiglianza di significato. Le radici iniziali uguali (che ho usato in questo lavoretto), invece, hanno molte volte un nesso semantico. Le parole "errare", "errore" e "errabondo" derivano tutte e tre dal latino "errare", mentre naturalmente "ere", "erano" e "ereditato" (oltre a "è raro") hanno un’altra origine ma, messe così vicine in una poesia tanto breve, producono, secondo me, un effetto particolare che, anche attraverso l’abbondante uso della consonante erre, raffigurante una testa umana (spesso stramba e lunatica!) negli alfabeti più antichi, ci immerge nell’erranza (in entrambi i suoi sensi) . Ogni poesia è sostanzialmente un’elevata espressione linguistica e, secondo il mio modesto parere, al di là del suo contenuto profondo, della sua sentimentalità appassionata o del suo valore sociale, essa non è forse veramente tale quando rinuncia ad usare metri, o rime, o qualunque altro marchingegno di natura linguistica...» |
Inserita il 13/12/2017 |
Errabondi in un mare d’errori
ch’erano stati fatti in ere andate,
rincorriamo l’errare, ed è raro
emendare ciò ch’è ereditato. |
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