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Dal solingo vetro d'una finestra
esterrefatto contemplo la brina
che posasi sulla spenta ginestra,
docil preda della neve meschina;
e maravigliato le querce ammiro
che scarne e ignude d'argento si pingon,
quando antichi tremori in un sospiro
d'arcano pallor il viso mi tingon,
onde la nivea tinta del paesaggio
e del sì soffice ghiaccio le lingue
m'accorgo che m'infondono un miraggio
che nel gelido recordo s'impingue.
Eppur nell'albeggiar di questo inverno,
laddove la nebbia mi copre d'oblio,
la secura membranza non discerno
che debole e fragile nel pensier mio
commòve lagrime d'insensatezza
e d'inquietudine priva d'audacia,
sicché comprendo che il core si spezza
nell'angoscia che furente lo bacia.
L'incanto allor delle marmoree forme
memori de' celesti campi elisi
perdesi nelle mie addolorate orme
laddove i sospir di duol sono intrisi
qual di sangue è pien l'acciar omicida
d'un demòne ch'assassina la pace
pria che urli l'oscura tempesta infida
d'una Fatalità che sempre tace.
Ciel superno!... Se l'orbe intiero è gelo,
se muore il recordo, se ghiaccia l'Amor,
irrora dal Sole almen il tuo zelo
che infra' i miseri sempre è consolator,
o se'l desii, taccia per sempre il dolor
nell'avverar d'una Speme felice
che bei sorrisi e letizia predice. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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