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Sto,
da questa parte del mondo,
addosso alla pagina
ipnotizzato di bianco.
Tra le dita,
malata d'inopia,
la bacchetta a sfera
persa di magia,
che invoca e implora
caserecci incantesimi
e trasparenze stese a seccare.
Poesia d'oggi,
dov'è il tuo calore di fango assolato?
La tua crudezza di polvere vetrosa?
La tua consolazione ubriaca?
Smarrita come una bambina
al primo viaggio.
Svanita, persa
tra stoviglie sbeccate,
ricordi impagliati,
pasti malsani,
cialtroneria di parole
e amici silenti.
Insisto a cercarti
tra una polvere
e un delirio,
dietro un libro
o sotto una frase.
Non fuggire,
alla nera attrazione crudele
che mi divora il cuore.
Un'assenza la tua,
opprimente e morbosa
da costruire presenza,
che non potrebbe vivere
senza la linfa secca
della mia malattia.
Continuerò a nascondermi
tra le creste
delle tue lenitive metafore.
A svenderti in neri mercati
di rabbiosa malinconia.
A perseguitare
la civetta e la lacrima,
i feticci e le ostalgie.
A tormentare
puri di cuore,
specchi da rompere
e angoli infetti.
A importunare
libertà a riposo,
tramonti sgangherati
e cosce di donna.
Sarà domani questo.
Stasera mi faccio largo
tra miei capelli annebbiati
e intuisco l'incombente
tra non molto del finire.
Sento già troppo impervio
il tuo monte di Venere,
per la povertà dei miei testicoli.
Mi sto morendo.
Nessuno se ne accorge,
eccetto
il pugno di mosche d'oro,
che mi hai regalato
e che tengo strette,
prigioniere nella mano per sempre. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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