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«Presi lo spunto, per scrivere questa poesia, dall’aneddoto (riportato in nota) riguardante il Gadda giovane per evidenziare la condizione non tanto piacevole in cui ci troviamo tutti noi cui piace scrivere, tanto più se non siamo scrittori o poeti famosi... Il nostro hobby, molto più di tanti altri, viene visto dalla società come la manifestazione di una psiche deviante, quasi malata, perché dedica tanto tempo alla creazione di cose che non hanno nessuna (apparente) utilità... Cerco di tenere nascosta il più possibile la mia passione alle persone che conosco (ne sono a conoscenza giusto alcuni parenti, poche ex colleghe di scuola e soltanto una famiglia, mia vicina di casa, del parco di centosessanta appartamenti nel quale abito), e quando, per qualche imprevisto, essa esce improvvisamente allo scoperto (come, l’ultima volta, nello studio del mio medico di base), mi sento in grande imbarazzo (il medico mi fece intendere che quella mia attività non è poi tanto sana...) Ho l’impressione che al giorno d’oggi ci si vergogni meno di confessare altri difetti (essere, che ne so, tossicodipendente, omosessuale o evasore fiscale) che di lasciarsi sfuggire di dedicare il tempo libero a scrivere poesie o racconti!» |
Inserita il 18/11/2019 |
Talvolta per parenti assai vicini,
una moglie, un fratello od una mamma,
rimaniamo sugli ultimi gradini,
vivendo questo fatto come un dramma.
Hanno di noi immagini diverse
costruito, rispetto a ciò che siamo;
le parole che usiamo sono perse,
se noi spieghiamo quello che facciamo.
Anche se ci invitassero a Stoccolma,
sarebbe solo un viaggio di piacere
per chi non vede mai neppure l’orma
della bellezza, e del suo potere. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«Quando i numerosi estimatori del grande romanziere Carlo Emilio Gadda lo andavano a trovare nella sua casa milanese, chiedendo del Maestro, la madre diceva, sdegnata, che lì c’era solo l’Ingegnere.
A Stoccolma, naturalmente, per ricevere un premio Nobel...
L’incomprensione dei parenti si può estendere a volte a quella di un’intera città (cfr., per Napoli, ad esempio, la poesia "Campanilismo" di Raffaele Viviani).» |
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