Gente dal petto largo deve aver costruito
un luogo che è una lastra. Saliscendi
di insegne e strade basse, sulla rada
e muri bianchi di sale. Più incroci che scale
o cortili. Li attraversa di taglio
qualche ombrello malchiuso, o un rumore di grucce.

Il turista raggiunge cancelli su cardini
col fiato corto, in apprensione. Esita,
resta ignaro di molti
particolari non visti. Vecchi astuti
e ancora in forze
sorvegliano gabbiani da finestre
di legno un po' scrostato: da destra a sinistra,
artigli e intemperie, tendaggi
sdruciti, campioni e soprammobili.
Angoli e raggi, anelli
e serrature.

Io lo so come accadde: clandestini
veloci, esatti nel poggiare il piede
scalzo sulle alghe asciutte del bacino,
evasero da una nave ormai in secca
sul far della notte, sciamarono
in frotte verso la parte alta, e s'installarono
in questo villaggio, proprio qui dov'è l'origine
del viaggio di Cuore di Tenebra.

Chi ha più chiavi, più peso porta in tasca.

Queste vetrine polverose
le disinfetta appena la luce del giorno,
le nota appena il turista di cui sopra, protetto
dal programma, e un po' stanco della vacanza.
Fuori, tamburi, stendardi e gonfaloni.
Più forte del rumore del mercato
uno dei molti simboli mi afferra,
lesto e sollecito, inatteso. E` pietà
e buonumore, è un'anfora d'acqua
sospesa sul tuo capo. Presto
sventolo un drappo bianco di sollievo,
una garza di resa, una benda
d'abbandono.

S'avvicendano con te in turni di veglia
il dubbio e il sonno, i miei angeli custodi.