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Nell'austerità tremenda e feroce
d'una villa viennese,
agonizzava per morte precoce
quel genio sì palese
che l'universo rese in belle note,
e in dolci e soavi soni
allorquando tra ispirazioni devote
e tra divini doni
egli fè propria l'arte musicale
e l'arte del bel canto,
in fede di divenir immortale
e al sol di star accanto.
Mozart... divino Mozart!... Ei fu... ei spirò.
Nella solitudine,
nella povertà ch'ognor l'incatenò,
e nell'inquietudine
che sempre senza pietà lo tormentò
serrò ei per sempre il ciglio,
e dolente schiuse l'ultimo spiro.
Dinnanzi a lui niun figlio...
niun cavalier dell'asburgico empiro
l'amare e crude stille
dolente e affranto pell'alma sua spremea.
Presi da empie faville,
infatti, ignorarlo vollero. E si tacea.
Perché mai tal silenzio?...
Perché questo comportarsi empio e austero?...
Ahi, amarezza d'assenzio,
calunniato e incompreso nel mistero
Mozart solingo morì
forse colpito da grave malanno,
forse da un rio liquore,
forse da una ria congiura a suo danno,
forse da un folle Amore.
Miserrimo Destino, che facesti?...
Consegnasti alla Morte
colui che con soni e allegri e mesti
diè musica alla Sorte...
alla Sorte di quell'Umanità
che franca si ribellava
all'empia natura della Nobiltà
ch'ognor l'incatenava.
Colui che uccidesti senza pietade,
oh malevol Destino,
fu un uom che in note espresse la Libertade
e l'Amore divino.
Incurante de' nobili sì fini,
infatti, Mozart dannò
i serragli de' Turchi, i libertini
e chi la bontà iscordò.
Sia dunque a lui soave il pio venticello
che Lassù, in Paradiso,
rammenta al suo spirto il bel violoncello,
le lagrime e il sorriso.
Frattanto si sappia che immortale
il suo recordo sarà,
anche al di là dell'ultimo strale
che sul mondo sorgerà. |
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