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Densa è la nebbia in questa notte orrenda.
Tutti i lochi sono silenti e oscuri.
L'aura che vola è gelida e tremenda.
Lassù, nel cielo, i nembi sono duri.
Nemmanco s'ode cantar la civetta
che, coi terribili e mesti lamenti,
di morte annunzia una funesta saetta,
o un impeto di crudeli tormenti.
Nemmanco s'odono ululare i lupi
che, tanto dolenti al ventre affamato,
minacciano con versi acuti e cupi
qualche misero animal sventurato.
Non splende la luna. Non vi son stelle.
Par che l'orbe mortal non esista più,
sìccome le spemi sembrano felle.
Par che questo sia un tristo mondo che fu.
I rami sono spogli e sono secchi,
mentre i pineti sembrano patiti,
forse perché sono gementi e vecchi,
forse perché sono stati puniti.
I ruscelli poi sembrano calotte
ch'irradiano un invincibile gelo,
forse perché è gelida questa notte,
forse perché strutti dal giusto cielo.
Ovunque vi son teschi. Ovunque ossa.
Di viscide larve il suolo si pasce.
Ovunque vi son pozze d'acqua rossa,
spezzate spade, e insanguinate asce.
Qua v'è il reo corpo d'un incantatore,
là sta inanime un cavalier consunto.
Qua v'è il resto d'un reo inquisitore,
là sta un sovrano da tempo defunto.
Una celeste furia onnipossente
rese vana la vita di costoro.
Una morte terribile e furente
li tolse dalla rea ombra dell'alloro.
Or dunque tutto parla di rovina,
tutto è immerso nel profondo silenzio.
Velenosa e celere quale assenzio
qua la morte è terribile regina.
Ma non è eterno quest'oscuro impero
che ree tenebre orrende ovunque adduce
per un sì terrificante sentiero
senza rettitudine, senza luce.
Làddove s'erge un portentoso calle
dalle procellose vette impetuose
che sovrastano una silvestre valle
dall'amene piante maravigliose,
làddove si veggono lievi gole
dalle picciole e care rocce grezze,
che all'alba salutano il roseo sole
rispondendo alle sue calde carezze,
làddove la massima cima s'alza
tra i ghiacci che sgorgano bei torrenti,
i quali scendono di balza in balza
emanando mormorii sì frementi,
un picciol foco, sotto il ciel brillante,
qual debole stella in una notte fosca
splende irradiando un lume estasiante
che pugna ivi la tenebra sì losca.
Donde viene tale strale focoso
che s'erge lassù a governare il mondo?...
Donde giunge questo foco giocoso
ch'ivi pugna quell'oscuro sì fondo?...
Sovra una lignea, picciola e stretta ara
che un aurato decoro poi rischiara
dall'esile forma mortale e vana,
che però si fia maestosa ed arcana,
un misero e tranquillo calice sta,
che alcuna nobile ricchezza non ha.
Brutalmente incisi sul suo aspro legno,
che di possenti regi non è degno,
vi sono un sagrifizio mai compiuto,
un atroce e aspro suplizio avvenuto,
una raggiante e felice cometa,
e un sapiente e veritiero profeta.
Sono l'istorie d'un Dio mai compreso
che l'umanità colle guerre atroci,
col peccato, e coll'alzar delle voci,
ria, folle e bruta ha crudelmente offeso.
Sono le nobili testimonianze
che pronunziano che una tolleranza...
un'alta e universale fratellanza
doveano pugnar le nostre arroganze.
Sono i miseri e docili decori
che stanno incisi sul calice santo,
donde, aspettando i crudeli dolori,
senza baldanza, senza picciol vanto,
bevve una Speme che poi in croce spirò,
e che, picciola Verità, ritornò.
Sono i dipinti d'un segno divino
che, tra le sante e ardenti arene,
custodirono con tutte le lene
il nobile saraceno, e il rabbino.
Poi questo calice, questa sembianza,
emanando tale luce gioconda
parlante di portentosa uguaglianza,
eroi addusse alla Tavola Rotonda.
Mirò sdegnato di Mordredt le gesta,
dell'anglo rege la morte funesta,
di Klingsor l'orrido furto profano,
che l'amica lancia recò in sua mano...
Mirò mesto di Ginevra il peccato
che un intiero regno fece vastato,
di Galvano l'ultimo spiro orrendo
ch'ascose al sovrano un fato tremendo...
Al nobile e fiero sire del Lago,
di Kundry al seducente core vago,
perdonando la loro ria passione,
diè anco una veritiera redenzione.
Mirò irato altre battaglie, altre guerre,
mille massacri, e mille rie crociate,
che non abbandonavan queste terre...
queste lande oramai desolate,
che punite pell'eternità sono
dal suo divino e portentoso tòno.
Così ora, urlando raggiante vittoria,
palese ha reso la sua vera gloria. |
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