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Scese la Luce, giù, dall'empireo eterno;
nel cor del mondo fu posto il Tuo giaciglio:
ove il bue e l'asinello, mitigavan l'inverno.
Pria che Tu fosti tra la gente, ogni perìglio
dovette affrontar il tuo mortal parente,
menando la Sposa nel loco dell'angelico consiglio.
Mite Pargolo! La Tua stella folgorante,
come un sole, nell'ombra si accese
sconfinando a ponente e levante.
Una miserabile moltitudine accorse
in indigente aspetto, con far fiero,
ai Tuoi piedi, ciò che più tenea ivi porse.
La fulgida coda, alla stregua del condottiero,
portò al Tuo cospetto: un drappello regale e Oro,
incenso e mirra, come dono straniero.
Il nemico tutto provò, per evitar sto giorno raro,
menando saccheggiatori e vandali,
per ogni dove, in ogni canto, dell'oriente intero.
Il Verbo si coprì di spoglie mortali,
la debole carne fu intrisa della Fonte viva,
sicché la gente poté vedere le ali
della Sua parola, che nel mondo si librava,
e onde giunta fosse, con trionfante ardore,
portava l'amore da dove esso si ergeva.
Vergine Divina, con cocente amore,
i tuoi occhi fissavan il benedetto infante
che ti fece serva del Sommo Fattore.
La soave scena sì dolcemente,
un mirabile serafino osservò d'incanto,
dalle sue labbra ne partì un canto,
che si sparse nel tempo eternamente:
"chi Ti aspettava agognava un portento,
ma in un miserevole e sì poco opulento
pagliaio nascesti, per far il creato redento.
Giungerà l'infausto dì dello sgomento
che straziar duramente, il cor di Maria
farà, quando il calice berrai in tormento.
Ma non omo, giammai, verrà nella storia
per lasciar vestigie, orme, e far tanto,
sì da approssimar vanamente la Tua gloria.
La verace via, seminerai cotanto,
che l'omo scoprirà un tesoro caro
, dalla novella che Ti farà vanto".
Intanto, il mondo rimase ignaro
del Divin Lustro che dal ciel scese
e prender dimora nell'umil posto fece,
seguitando col naufragar amaro.
Non venne compresa la Tua voce
dall'orbo mondo, che in compensa,
ti consegnò inesorabile la sua croce.
Al cospetto del governatore fu l'udienza
Ma ei si terse le man nel suo lavello
pria che fosse stata la cruda sentenza.
Il fugace carminio manto dell'Agnello,
più che una volta fu scosso,
dal centurione e il suo assassin flagello;
finché scuoiarlo fin all'osso
non fece, il popolo, ribellione non accinse
e un ciglio non fu mosso.
Una ghirlanda spinata la Tua fronte cinse;
tra sberleffi e percosse, che a Te sferrava,
nell'impeto, la stolta folla non si accorse,
che l'omo che tanto tanto irriso aveva,
non di un qualsivoglia Re si trattava:
ma niuno sovrano che su la terra si distinse,
i legacci dei Suoi sandali, annodar poteva.
Pur con ogni sorta Il mal mai t'avvinse;
dal basso alla sommità della valle,
intrepido, il Tuo cor giammai si sciolse.
La croce portasti sull'erto colle,
con stridore di denti soffristi ogni piaga,
finche l'Onnipotente non volle.
Sulla Tua fronte emerse più che una ruga,
al passo sì dolente il Tuo corpo vacillò;
un cireneo il tuo peso lenì, sì seguitò la saga.
Ai piedi del Legno Tua Madre strillò,
un rombo distorto di dolore ardente
dal suo cuore, colmo d'inverno, squillò.
Inchiodato, stretto e ferito, tra gli assi giacente
il tuo corpo stette, tra i fuorilegge,
quivi al centro che paresti il peggior de la gente.
Il silenzio dettò la sua legge,
pel Golgota, a ogni dove, della funesta valle;
così ogni fardello del Tuo gregge
lo caricasti, grave com'era, sulle Tue spalle.
Il loco donde Chi il mondo regge sta, virò:
di una cupa tinta si tinse, su ogni calle.
Il Tuo Volto sacro, con solenne piglio si girò:
su di esso posò il suo guardo,
aspettando, sinché il venerando Corpo, non spirò.
Un crocchio, per ultimo traguardo,
sul Tuo vestiario la sorte gettò, e come omaggio
prese le parti, in memoria dell'atto beffardo.
La muta terra, un boato svegliò con coraggio;
un fremito profondo la crosta assalse,
siccome in collera per tant'oltraggio.
Non un sol raggio dalla volta si scorse
Siccome se Chi da quivi stesse posando il guardo,
appena un attimo altrove Si volse.
Da un centurion romano si mosse un dardo,
poscia che il Santo Spiro, dalle mortali vesti si levò,
sicché affondò l'ultimo tenace baluardo;
sul costato flagellato il suo posto trovò.
Un aure minacciosa, sì tanto vaga,
la terra avvolse, memore di ciò che l'Unto provò.
Il Sacro Sangue eruppe dalla piaga
e tant'acqua, al seguito, in un ruscello
sgorgò con ferrea ira in gran foga.
Codesto Sangue, che in uno zampillo
sgorgò infuriato, con acqua a getto,
furono del patto divino, il simbolo novello.
Attonita gente stette al Tuo cospetto,
siccome pavida al veder di tant'effetto;
un leggiadro augello si volle acquietar,
tra le spine della corona trovò il suo letto;
l'esile corpo si volle macchiar
del Sangue del Figlio diletto
che giammai via verrà.
Dacché il creato fu fatto,
non vi sarà giorno sì empio
nonché sì abietto cotanto.
L'oscurità profanò il Tuo tempio,
le alme del mondo volle annientar,
ma la Tua Luce metterà fine allo scempio
e alla morte dei tempi dovrà regnar.
Fosti dell'amore il primo e l'ultimo esempio;
al voler del Padre, il Tuo, mai al di sopra si erse,
affinché in ogni loco si riedificasse il tempio.
Ecco L'Uomo che l'Eterno offerse
al mondo irriverente, che non volle accettare.
Discese agli inferi finche fosse
la terza alba, al che, una luce volle destare
il corpo sopito, che dalle tenebre si tolse,
e da cui l'umana sorte non si può liberare.
La Sacra spoglia che fugace fu, si intinse
di immortalità e regale valenza;
e non un baco mai consumò, giammai La estinse.
Tornasti al Tuo posto, al Sommo soglio;
alla destra del Padre, L'Altissimo Iddio,
e ivi darai, l'ultima eterna sentenza
ad ogni viandante mortale presenza. | |
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Wal |
30/11/2009 11:08| 1000 |
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