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Era una notte di terrore immenso,
Signore Iddio, e tutto ivi taceva,
mentre del sacro fiume il corso intenso
grave strepito all'aure infondeva.
Lassù, nell'oscurato infame cielo,
nemmanco lucea una misera stella,
mentre sulla landa un crudele gelo
glorioso vinceva l'aura rubella.
Se, giunto in quel terrificante loco,
non ci fosse mai stata l'erma arena
a render la sua luce in mesto foco,
cieco non avrei avuta alcuna lena,
ché ivi tutto era oscuro e terribile,
avendo Tu reso, mediante l'ira,
quella crudele terra invivibile
ch'ancora è avvolta da maligna spira.
Mentre camminavo con passi mesti,
col ciglio ratto dall'aspro spavento,
miravo i resti defunti e funesti
dell'imperial assirio empio momento.
Tra l'arene terrificanti, infatti,
giacevano coll'infami locuste,
i resti, dall'empio male distratti,
dell'assirie glorie crude e vetuste.
Vedevo ombre d'antiche e forti mura,
di terribili e cadenti cancelli,
di miserrima pietra orrida e dura,
di possenti fori oramai rubelli,
di scellerati mutili decori,
di maledetti erosi monumenti,
di dimoniaci e terrificanti ori,
e di remoti focolari spenti.
Cupi timori mi venner davanti,
camminando tra teschi maledetti,
tra viscide e uggiose larve arroganti,
e tra malvagi sepolcri negletti.
Oh mio Signor, ero sperduto e tremavo,
preso da un invincibile timore,
e nel profondo del mio cor desiavo
la gentil fine di tutte quell'ore.
Quell'aspra cittade Babilonia fu:
un ammasso miserrimo di ruine,
memori di perfidi re di quaggiù,
e d'aspre lussureggianti regine.
E tali il tenario Sathana le fè,
quando l'assirio duce baldanzoso
la schiavitù tremenda e l'esilio diè
di Solima al popolo portentoso,
inemico del menzognero Belo,
del quale vidi ivi gli idoli infranti
sotto il minaccioso notturno cielo,
tra le misere sabbie spasimanti.
Ecco perché continuavo a tremare,
sentendo freddo il sangue nelle vene!...
Ecco perché continuavo a sperare,
sentendomi deboli nelle lene!...
Ero sempre più mesto e spasimante,
sempre più cieco, sperduto e confuso,
mentre il cor, non più possente e costante,
alle spemi si tradiva deluso.
Eppure, continuando a vagare ivi,
appesa con buona cura, o inchiodata,
sur de'remoti rametti giulivi,
trovai un'ebraica arpa tutta dorata.
La presi e la sonai per molto tempo:
parvero allora le stelle nel cielo,
e in mezzo a questo miserrimo scempio,
delicata quale un docile velo,
con ogni speme, la luna si mostrò.
Sì bello e forte è il potere della poesia:
con essa il male intiero s'inabissò. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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