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| Pensavo che tu fossi la mia pietra
filosofale per trovar la vita
che mi sfugge flottando in questo mare
d'un marasma, in cui navigo la notte
a vista: nel naufragio dell'amore
che m'è dolce narcisica nequizia.
Certo, perché quel poco d'avarizia,
quel po' che basta, mi riduce in pietra
inane e secca: e certo che un amore
allora non v'alligna, né la vita
barbata vi s'apprende! perché è notte
il pensiero che poi io getto a mare.
Che ad amare, ricordo, che fu al mare,
che, al tremolar d'estate, la mestizia
mi prese d'un'assenza, ombra di notte,
fantasma a me scagliato come pietra –
non plasmata – e ferisce, che la vita
vi s'abbaglia. E si biforca amore.
Ovvio, perché non è cosa l'amore
da ritrovar sulla spiaggia del mare
come un ciottolo liso dalla vita,
perché, come un quesito di letizia,
il bivio d'Ercole t'addita. Pietra
che chi presume sol proietta in notte.
Mentre l'incerto giunge giorno e notte
e ne trattiene il nocciolo d'amore,
interdetto esitante, con la pietra
ancor in mano, per sfidare il mare
che di grazia soverchia, e a far primizia
l'ombra meschina chiamandola a vita.
Insomma pongo le mani sulla vita
e scruto l'orizzonte. Si fa notte
sul lido, ma intravedo che m'inizia
un beccheggiar di gioia che è un amore,
che mi spaura lieve in alto mare
astraendo il superfluo dalla pietra.
E sogno che l'inganno si fa pietra
di paragone e carne della vita,
intriso nella cosa che in un mare
corporale coagula la notte,
finché all'alba s'effigia nel mio amore
limpida l'ombra che sa trar perizia
dalla sua grazia a generar sapienza
che sempre cara e dolce m'è. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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