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La poesia si riferisce al crollo della scuola Francesco Jovine a San Giuliano di Puglia, che provocò la morte di 27 bambini e un'insegnante durante il terremoto del 31 ottobre 2002. |
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Piovevano già dorate le foglie
perse nel verde del centro sbiadito,
nel gioco degli uccelli spavaldi,
quando piombò come cruda frustata
il morso tragico del terremoto.
Vicino la scuola, fragile nido,
saliva lieto il grido dei bimbi.
Non un attimo di vaga attesa
né barlume di pena
o timore rimorso pentimento.
Era crimine fatto
la tragica distesa dei macigni.
Subito fu silenzio rovinoso,
poi pure più amara della morte
cupi lamenti di flebili voci.
Poi lesti volarono i pompieri,
una furia proprio pericolosa
prima del meditato
ritorno a cauta operosità.
Mani vere a graffiare, scavare
tra massi e pareti già sfondate.
Corpi prigionieri e sanguinanti
stringere arti freddi di bambini
che più torneranno a camminare.
Fissare occhi che vuoti cercano
e sbigottiti chiamano ancora
ma tu non puoi proprio più ascoltare.
E ben lungo il tempo del dolore,
un attimo dura poi una vita.
Prigioniero nel buio della tomba,
le ore notti estremi attimi
diventano lugubre eternità.
Vano senti il continuo bussare
di chi ti chiama e ancora spera,
ma la morte non sa più rispondere.
Era l’ultima sera,
uno stretto pertugio illuminò
la maestra e un giovane sfinito.
Un grosso masso schiacciava la donna
che sembrava morente.
Aveva volto spento occhi dolci,
cavò fili di voce.
- Molti ne avete salvati - disse,
- ma tanti ancora sono qui con me.
Io resto qui con loro. -
Con tremenda fatica
guardò fuori, tra le ombre cadute.
- Che fortuna. Ho visto la mia stella. -
aggiunse sorridendo. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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