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Sono insegnante di matematica in un istituto tecnico e quella mattina ricordo che mi ero alzata con la luna storta. Non vedevo l'ora che fosse sera per rintanarmi in casa tra le banali cose di sempre ma...soprattutto lontano dalla scuola, dai colleghi, dai miei allievi che non riuscivo più a sopportare. Erano i miei allievi la causa principale del mio dolore. Il rendermi conto di avere perso il gusto per l'insegnamento mi faceva sentire una matusalemme, come se in me ogni volontà si fosse annullata e vivessi d'inerzia, come un vegetale. Guardandomi allo specchio mi veniva da piangere...i miei occhi infossati, le gote scarne, le labbra serrate... “STREGA!” urlai digrignando i denti a quel volto riflesso che adesso sentivo di odiare. Ecco! L'avevo detto, finalmente avevo trovato il coraggio di pronunciare quella parola orribile. “STREGA!” ripetei, nascondendo la faccia nell'asciugamano per coprire le lacrime. Era stata questa parola a frantumare il passato, il presente e anche il futuro. Ormai era inutile continuare a mentire accusando i miei alunni di avere dato alla mia faccia la giusta parola. Forse lo avevano fatto in modo troppo spietato. Ma perché lo avevano fatto? Che bisogno c'era di farmi soffrire così? Tutto era incominciato qualche giorno prima quando nel chinarmi per raccogliere il registro che mi era scivolato a terra davanti alla sala dei professori, avevo involontariamente ascoltato una conversazione tra colleghi e...guarda caso, parlavano di me. “Qualcuno di voi ha visto la strega?” Aveva domandato Piero Grassi, il professore d'italiano. “Io l'ho vista” rispose l'insegnante di tecnica. “Appena rientra la rimetto sulla sua scopa. Ho intenzione di chiederle la sua ora in prestito per il tema in classe”. La mia entrata aveva posto fine a quella interessante dissertazione sulla mia persona. Ormai sapevo che tutti mi chiamavano strega, dal preside fino al bidello. I miei colleghi si rivolsero a me con un imbarazzato “buongiorno”. Piero Grassi ebbe la sua ora, gliela regalai e...con molto sollievo. Adesso, la sola idea di entrare in classe mi faceva vomitare così come restare nella sala dei professori assieme ai miei benevoli colleghi. Quei 20 anni votati anima e corpo all'insegnamento mi avevano lasciato un vuoto tremendo, un senso di fallimento che avviliva il mio brutto viso ma anche la mia anima che si ribellava a quella cattiveria. “STREGA!” ripetei guardandomi ancora allo specchio. La verità mi colpì come un pugno nello stomaco. Quella zazzera disordinata e rossiccia, il viso magrissimo, le labbra strette che quasi non si vedevano... Certo...assomigliavo a una brutta strega. I miei allievi avevano constatato un semplice fatto. Di non essere una bellezza me ne ero sempre resa conto ma...non ne avevo mai fatto una tragedia. Neppure il rimanere zitella aveva sconvolto la mia vita e nemmeno il fatto di non avere MAI ricevuto un complimento da parte di un uomo. Quella mattina, però, stavo raccogliendo i resti della mia femminilita in frantumi. Questi erano i miei tristi pensieri mentre camminavo per andare a scuola. Ad un tratto mi accorsi che un signore di mezza età, discretamente piacente, mi stava osservando imbarazzato e confuso. Voleva dirmi qualcosa ma la timidezza glielo impediva. “Dica pure” lo incoraggiai. “La vedo passare tutte le mattine. Lei è bella...la prego, non mi fraintenda. Desidero farle soltanto un complimento”. Disse d'un fiato, guardandosi le mani che tremavano leggermente. Lo fissai con gli occhi sgranati, per un attimo... Un attimo interminabile che annullò spazio e tempo, dissolvendo l'atroce dolore che avevo provato. “Ho fretta” replicai allontanandomi ma regalando a quell'uomo un sorriso. Camminavo spedita ma ad ogni passo una piacevole sensazione s'impadroniva di me sciogliendomi i muscoli irrigiditi. Per tutta la mattinata pensai a quelle parole e, durante la lezione, mi ritrovai a sbirciare oltre la finestra. Fuori c'era un giardino, c'era il sole...tra poco sarebbero incominciate le vacanze. Perché la parola vacanze mi riempiva di allegria invece d'incupirmi come prima? Eppure quell'uomo mi aveva notato. Il giorno dopo presi un giorno di malattia e non andai a scuola. Non mi ero mai assentata. Andai dal parrucchiere, dall'estetista e poi a comprare dei vestiti alla moda. Per la prima volta mi sentivo viva, mi sentivo donna.Passai tutto il pomeriggio a provare vestiti, a guardare nello specchio quella donna che mi assomigliava ma...non ero più io. Mi misi a ridere e a pensare quanto poco fosse bastato per trasformare una strega in una graziosa fata. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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«Le parole sono pietre che vengono scagliate senza capire il male che si può fare a una persona. Allievi e colleghi della nostra protagonista hanno usato male le parole facendo sprofondare nell'abisso la nostra eroina. Le parole, d'altro canto, possono ristorare il cuore, come quelle pronunciate dal distinto signore alla nostra insegnante di matematica. Bisogna stare attenti all'uso delle parole.» |
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bel racconto complimenti (Citarei Loretta Margherita)
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