Girava solitario per il luna park , sollevando polvere sotto le sue birkenstock di cuoio marrone.
Alfredo non sapeva del perché si trovasse in quel posto, visto che a lui le giostre non erano mai piaciute, neanche da bambino. Ma quella mattina si era alzato con una gran voglia di dare una sferzata alla sua vita. Forse non proprio cambiarla, ma una smania le solleticava mente e corpo nella ricerca quasi ostinata di fare qualcosa per sé stesso.
Egli aveva trascorso la sua vita cercando sempre di accontentare gli altri, forse un po’ per carattere,
forse perché incapace a dire no, e questo aveva accentuato il lui questo malessere che l’ammorbava dall’istante in cui aveva aperto gli occhi al levar del sole.
Aveva un sorrisino stereotipato e dovunque si girasse metteva in mostra una faccia vuota, incapace di mostrare la sua vera indole. Ma qual era la sua vera indole?
Era giunto alla conclusione che forse gli era saltata qualche rotella. “Ben vengano gli stolti”, aveva pensato, “almeno loro non sanno quello che fanno e tutto gli è lecito”.
Ma neanche così si sentiva appagato. Fremiti, ronzii, miriadi di parole saltavano nella sua mente proprio come dei tarli che non avrebbero smesso fino a quando non si fossero rosicchiati l’ultimo pezzo di legno della gamba della vetrina “Arte Povera..”
E così incespicando nei colori e nei rumori dei caroselli, si ritrovò ad ansimare dietro i suoi passi per una strada solitaria che costeggiava il grigio quasi scarno delle case e dei palazzi. Dopo tanti anni che viveva in quella cittadina non si era mai accorto di questa ciottolosa via, che di tanto in tanto mostrava delle macchie verdi messe lì a voler presagire l’aridità di quel selciato che magari veniva usato come toilette per cani. Ma dei fidi amici dell’uomo neanche l’ombra. E le sue gambe continuavano a passeggiare per quella via…. Quando ad un tratto la solitudine si fece protagonista del suo spirito fino quasi a soffocarlo.
Camminava e sudava, sudava e sbandava, ma intorno a lui niente, zero assoluto. Solo sassi che di tanto in tanto si intrufolavano tra i suoi piedi mettendo a repentaglio la stabilità del suo scheletro. Le ore erano trascorse velocemente ma sembrava che ciò non lo riguardasse mentre continuava la sua corsa lungo un selciato che non aveva fine. Pensieri, rumori, voci, penetravano strozzando la saliva nella sua gola. Il passo si era fatto frettoloso, quasi avesse un appuntamento, un ritrovo al quale lui non poteva certo mancare.
Ed in quella corsa, rallentata solo dalla raccolta di ciottoli, un fiume davanti alla sua figura interruppe la fragilità tenebrosa della sua mente e nel tirarsi su il bavero del cappotto, adagiò uno ad uno i sassi collezionati durante il percorso, nelle tasche del suo soprabito e con fare naturale continuò il suo cammino nelle acque del canale.
E mentre il suo corpo veniva inghiottito dalle labbra dolci del torrente, stampato sul suo viso
il solito sorriso che l’aveva accompagnato nel luttuoso itinerario della sua fine.
Non era uscito per morire, voleva cambiare, voleva essere ascoltato, voleva solo essere considerato…
Ma nei labirinti della sua ragione tutto era stato predisposto affinché la follia chiudesse i cancelli della sua insulsa vita….