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♦ Adriana Bellanca |
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Sono finalmente seduto da solo. E' notte, notte fonda – sto lentamente ricomponendo il corpo e la mente dalle mille tensioni attraversate per riconquistare un po' di quiete, un po' di silenzio, E' notte, ho acceso una piccola luce – non ho bisogno di biancori crudeli per lasciar correre la penna sulla carta, non mi serve una lampada scialitica per indagare nella mia mente – forse il buio, sicuramente il buio può meglio illuminarmi in questa ormai consuetudinaria esperienza; ma come dimenticare che questa volta, dopo innumerevoli anni, non è per me solo – come ricondurmi all'usuale confidenza, come non sentirmi sottratto a me stesso, quasi denudato, quasi violato – la mia grafia è quanto di più intimo io ancora conosca. E per rivestirla in qualche modo ho dovuto elaborare un cerimoniale, come un rituale che desse senso alla ragnatela di segni che vado tessendo sulla carta. Ho lungamente studiato la mia rastrelliera di penne, quasi a scegliere l'arma più adatta per una battuta di caccia; per abbattere i miei pensieri, spesso così lontani, così fuori tiro, e poterne cosi comporre un carniere nel quale poi scegliere, con sapiente gusto, quelli da presentare ben spennati, puliti, lavati, cucinati – sulla candida tovaglia che vado pian piano apparecchiando. Ma scelti anche, questi strumenti, perché meglio si adattino, tecnicamente, alla positura che mi sono trovato, nella quale mi sono come imbozzolato, rannicchiato come un feto nell'abbraccio della poltrona, nella penombra rosata che mi sono creato intorno – un fascicolo posato su una gamba, la mano che mi corre davanti agli occhi – ecco, mi sono disposto a leggio di me stesso – tutto questo ha imposto una stilografica, nella quale l'inchiostro scorresse per capillarità anche verso l'alto – una biro non avrebbe scritto che poche righe. Ho evitato una penna sottile e leggera, che mi avrebbe costretto ad una guida con mano ferma e sicura – che ormai non ho più – ed ho scelto una pesante, spessa penna di metallo, che avesse un momento di inerzia, quasi un volano per accumulare energia e scaricarla nei crampi della stanchezza. Ho preso una grossa Harley Davidson – sì, la marca della gigantesca moto americana – carrozzata di un cupo rosso metallizzato e la lascio correre quanto più posso – e correndo senza frontiere, in questa notte silenziosa nella quale mi sono così bene installato, la mente ha compiuto qualche magico inafferrabile processo e mi ha altrettanto comodamente installato sulla morbida sella di una Harley rosso cupo. Chi ha scalciato la pedivella d'avviamento – il frusciante silenzio della notte si è trasformato nel rombo soffocato di un grosso motore. Vieni? Sei in sella dietro di me e man mano che accelero ti stringi un poco a me – paura? No, non è la stretta gelida percorsa dal brivido del timore, è un abbandonarsi sereno per stare più confortevolmente, per assecondare il moto sempre più veloce che ci fa scorrere davanti agli occhi un paesaggio incantato, quasi immerso in una nebbia dorata – il lunghissimo rettifilo d'asfalto davanti a noi si perde in lontananza, come la punta di un pugnale piantato nel cielo – non c'è presenza umana. Non possiamo parlare, il vento ci impedirebbe di sentirci; ma non serve – non è necessario – perché parole, a cosa occorrono le parole quando tutto è detto, quanto tutto è fatto – cosa altro importa se non questa corsa nella notte, questo scorrere del tempo – il cielo è come metallo fuso, il chiarore è accecante, la strada lunga e diritta non accenna a mutare – siamo sospesi nello spazio ed il tempo si ferma – hai appoggiato la testa sulle mie spalle, pian piano sento il calore di te che mi passa attraverso – la Harley ci porta sempre più vicini – ecco, non sei più appoggiata a me la penna ora pesa nella mia mano sono solo, seduto in poltrona e una inutile penna raspa ghirigori sulla carta, raspa nel silenzio della notte, di questa lunga notte, e immerso nella penombra vedo pian piano schiarirsi il cielo – la notte pian piano si riempie di luce, come di lacrime un vaso di cristallo. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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Molto ben scritto. Complimenti!! (Vivì)
Una corsa con la fantasia, attimi di comunione con (rosanna gazzaniga)
la parte più segreta del nostro esserci...molto (rosanna gazzaniga)
bello e intenso! complimenti. (rosanna gazzaniga)
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