Oggi è il 7 Agosto. Il caldo è torrido e l'umidità è un abito che si appiccica alla pelle. Esco a spasso con il cane attraversando strade semi-deserte. Sperando che la fortuna baci la mia fronte madida di sudore, vado a fare una giocata al superenalotto e di ritorno verso casa, mi fermo a sedere sulla panchina di un parco. Da lontano vedo passare la linea 20 dell'autobus. Dentro c'è poca gente; 5 o 6 persone anziane forse dirette verso qualche casa di riposo.
Oggi è un giorno triste, perlopiù malinconico, uno di quei giorni in cui mi chiedo e domando dove sia diretta la mia vita. Il 20 ormai è passato da qualche minuto. Se n'è andato fra le pagine di itinerari da seguire, è scomparso per sempre nelle vie dei quartieri vuoti che recano a Bologna.
Bologna, la città delle promesse, delle università e degli studenti, il posto della mia infanzia, dell'adolescenza e della maturità, delle iniziazioni al sesso, all'alcool, delle scorribande notturne, la città delle speranze infrante contro a muri alti come le due torri, il luogo dei primi tormenti, dei dolori, del senso di impotenza nei confronti di fati inspiegabili, la città dei portici, delle infatuazioni, degli amori, delle mie trasformazioni e formazioni, dei travestimenti... poi ci sono piazza Maggiore e la fontana del Nettuno, ci sono gradini, persone, chitarre e canzoni da cantare a squarciagola, biblioteche nelle quali perdersi fra cumuli di libri, vetrine confezionate ad arte, negozi di liquori, concerti, possibilità, grandi sogni...
Ho attraversato ogni rione in lungo e in largo. C'erano sempre un motivo, uno sprone, un pungolo che alimentavano in me la voglia di procedere e in quegli attimi, credendo di sapere molto bene cosa stessi facendo, mi buttavo a capofitto dentro a situazioni che in futuro mi avrebbero condotto a dei nulla di fatto.
In mezzo a tutto questo, in realtà, non ho mai saputo dove andare veramente, cosa fare a parte scrivere, sono stato ovunque e quell'ovunque era dappertutto e da nessuna parte. Ho seguito richiami ammalianti come canti di sirene, ho lavorato, ho guadagnato, ho pagato e continuo a pagare senza capirne lo scopo.
Qual'è stato e qual'è il senso da attribuire a tutto questo movimento? Esiste o non esiste?
Non sono riuscito a trovarlo ne alle estremità dei miei buoni o cattivi atteggiamenti e nemmeno al centro. Non è una questione di carriera, di affermazione o di insuccessi, di cosa fare o non fare di se stessi, di metter su famiglia... forse questo esistere nel mondo è solo la maniera di escogitare un modo per riempire il tempo; un tempo che non concede sconti, non concede lunghe attese e non conosce indecisioni; forse è solo il modo di escogitare una formula che al di là di quello che si è professionalmente o apparentemente, renda paga l'anima e la indirizzi verso ciò che più le rassomiglia, verso ciò che più le è affine.
Cosa vuol dire tutto ciò? È questo il senso? E dopo... cosa accadrà?
Qualcosa mi sta chiamando. Forse sarà solo un'altra attrazione momentanea che fra breve passerà; forse no, non lo so, devo andare a vedere.