Pasqualino - Racconto di Pasqui (Amore)

Quando si muoveva sulle gambe snelle, Pasqualino, quasi cadeva. Era snello come lo stuzzicadente, aveva il viso pallido e gli occhi scavati. Indossava sempre pantaloncini corti e magliette a mezze maniche. Si muoveva nell'aria di quel tempo come uno che era stato portato per caso in quel luogo. Non rideva mai, nemmeno con le torture avrebbe sorriso mai a qualcuno. Aveva dodici anni e ancora non conosceva l'alfabeto dell'amore. Non conosceva baci e nemmeno carezze, il suo cuore non pulsava, esisteva senza che nessuno si accorgesse di lui. Eppure era carino, slanciato come una piccola giraffa, il suo sguardo era penetrante come pochi occhi lo erano. Parlava poco, ma con gli occhi intraprendeva dialoghi profondi con tutti gli altri occhi esistenti, soprattutto con quelli degli animali, compresi gatti, cani, galline e anche qualche topolino che di tanto in tanto, usciva dalla sua tana per racimolare qualche pezzettino di formaggio caduto dal cielo, o qualche mollichina caduta da qualche merenda bagnata dalla pioggia. Era timido a tratti, a tratti quasi spaventato dalle domande che qualcuno gli poneva. Preferiva starsene in disparte nel castello della sua accesa fantasia. Se ne stava sempre da solo, giocava spesso con tappi di bottiglie mettendoli insieme, così formava file di eserciti pronti a farsi la guerra. L'esercito preferito era quello dei tappi di una bevanda particolarmente frizzante, era la S. Pellegrino, bevanda racchiusa in bottiglie piccole con dei tappi con al centro una stella. Pasqualino con quell'esercito si sentiva imbattibile nelle guerre e nelle battaglie. Copiando il marchio da sopra al tappo della bevanda ne fece la sua bandiera preferita, la bandiera dell'esercito delle sette stelle. Ogni pomeriggio, al calar del sole, si metteva a giocare e guai se alcuno lo interrompeva o voleva partecipare a quel gioco che solo lui conosceva. Gli altri gli davano fastidio, non voleva né ricevere né dare in cambio nulla. Era contento o abituato così intensamente alla sua solitudine che anche un semplice rumore gli arrecava fastidio. Solo a scuola riusciva a parlare con gli altri, forse perché doveva parlare per forza di cose, altrimenti ne avrebbe fatto a meno. Da piccolo sicuramente non aveva ricevuto amore, ma dentro di lui, come quelle radici selvagge che nascono in aridi terreni, Pasqualino possedeva molta acqua per dissetarsi. Possedeva amore proprio, profumava l'amore che lui emanava, solo che l'avvertiva solo lui e questo sentirlo lo colmava di tutto. Come non avesse bisogno di nulla, esisteva solo per sé, anche se a volte desiderava intensamente un bacio dalle profondità delle viscere della madre.

Figura che poi grandicello traslò in visi di giovani fanciulle bionde dagli occhi azzurri, si la madre aveva gli occhi azzurri come il cielo e i capelli come il sole, era bellissima la madre di Pasqualino. E lui ne era gelosissimo, avrebbe fatto di tutto, compreso guerre e battaglie per possederla. Ma Lei, la madre, regina di tutto il creato, era inavvicinabile, intoccabile come le stelle che formano corona nelle limpide notti d'agosto.

Come Ulisse, Pasqualino navigò così in cerca della sua Itaca tra mostri marini e forze occulte di ogni tipo, spesso si fermava dentro di lui per fare il punto di dove si trovasse, ma un giorno comprese, comprese anche grazie alla forza dell'amore che aveva dentro di lui, che non doveva chiedersi dove andasse e delle isole che incontrava nel mare aperto. Ma doveva proseguire il suo viaggio senza nulla chiedersi e solo forse, stanco del navigare, si sarebbe riposato sui seni dolci e caldi della Sua Itaca che sicuramente l'attendeva dentro e fuori di lui.

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