Anche quella mattina il primo pensiero fu per la polvere che lo avrebbe assalito senza scampo sulla lunga strada per Herat.
La notte appena passata in un sonno tormentato.
La mente ed il cuore al biglietto passatogli di nascosto da Setara: “Altra volta che vieni scuola ti devo parlare, soli”.
Sotto il controllo rigido del rappresentante governativo afgano avevano sempre scambiato idee; la missione ed il lavoro per cui era lì lo prevedevano nel tentativo quotidiano di superare le chiusure culturali e secolari che ”uomini, potere e uomini”, diceva lei, imponevano.
E tu come potevi esser guida o ispirazione se non per ciò che ti era dettato dalla passione e da ciò che stillavi nei versi faticosamente versati come lacrime ed essenza di te: giovane ufficiale di un esercito di... pace?
E Setara si nutriva di poesia e con essa sola affrontava quel mondo, ostile alla libera espressione.
Traduceva nel suo italiano essenziale: “Sere dimenticate dietro, sole che scaldi, io non so scavalcare l’aspra montagna che è orizzonte mia vita”.
Era l’altro biglietto che Marco gelosamente custodiva nel suo armadietto.
“La poesia ha profumo di fiore donato, spero ci salverà”.
Solo le carezze degli occhi, nient’altro era possibile.
Quella mattina, andando ad Herat, la colonna di blindati si fermò sulla strada ostruita da alcuni tronchi. Vicino alla strada, i venditori dei fiori violetti dello zafferano.
“Ecco, in cambio delle sue parole, non avendo il coraggio di schiuderle le mie e di scavalcare le montagne, le porterò il profumo della poesia”.
Uscendo dal mezzo bloccato ti avvicinasti al venditore di fiori.
Poi il tremendo rombo del fuoco.
Steso ed assordato dall’onda d’urto, avesti il tempo di guardare l’autoblindo distrutto e sapere l’essenziale: essere ancora vivo.
Setara...