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Parte 28 della raccolta "Storie di Famiglia " di Carlo Fracassi (35 racconti)
Come eravamo |
Gli Avogadri avevano un elegante negozio di stoffe a Milano, in Piazza Cinque Giornate e sempre grazie alle relazioni dello zio Pino, la signora Avogadri (giovane e bellissima) aveva fatto amicizia con mia madre a Rimini durante le vacanze. Avevano affittato un appartamento in via Cormons e ricordo che soggiornarono nei mesi di luglio e di agosto, mentre il signor Avogadri venne solo per qualche fine settimana. Il figlio Alberto aveva la mia età, 12 anni, Paola solo 10, ma se io ero già in età puberale da un anno, anche lei non scherzava, sembrava proprio una signorinetta, con tanto di seno pronunciato. Eravamo sempre insieme e Paola mi piaceva molto. Un giorno m’invitarono a pranzo. Per secondo c’era la cotoletta alla milanese che a me piaceva moltissimo ma la rifiutai dicendo ch’ero sazio, perché non avevo ancora imparato ad usare per bene forchetta e coltello, dato che ero un sinistrorso corretto che aveva imparato ad usare la destra solo per scrivere, ma non per mangiare.
La sera le nostre mamme ci portavano a passeggiare sul viale e noi compravamo il gelato da “Pimpi” sull’attuale piazzale Kennedy, dove ora c’è una Sala Giochi. Io compravo sempre un gelato da 10 o 15 lire, secondo la disponibilità, loro sempre da 25. Una sera ci sedemmo con le nostre madri al caffè Ambasciata ma il gelato l’avevamo già comprato dal solito “Pimpi” (un vero specialista) pertanto consumarono solo le signore. Siccome al caffè si stava seduti a vedere il passeggio per alcune ore, noi ci alzavamo e giocherellavamo nei dintorni.
Ad un certo momento ci avvicinammo nuovamente ai nostri genitori e Alberto chiese di poter prendere un altro gelato. La mamma esibì un biglietto da 1.000 lire, grande come un tovagliolo (a mia madre brillavano gli occhi davanti a tanta ricchezza!) e disse al figlio di offrirlo anche a me e a Paola. Io e Paola ne prendemmo uno da 25 lire ma Alberto ne approfittò con uno enorme da 50. La signora Avogadri prese il resto dal figlio senza nemmeno contarlo, dicendogli che il gelato sarebbe andato sprecato; infatti così fu.
A settembre, prima dell’inizio della scuola, presi il treno (da solo) e andai a Milano. Volevo vedere ancora Paola di cui mi ero invaghito. Zio Pino il giorno dopo mi portò a casa loro di buon mattino per poi tornare a riprendermi verso sera. Io e Alberto andammo al cinema a vedere un film di fantascienza in bianco e nero ma a tre dimensioni. Ricordo che c’era una cascata di massi dalla montagna ed io allungavo le mani come per prenderli. Quando la cassiera mi staccò il biglietto intero le dissi che nella mia città pagavo ridotto. Lei mi chiese da dove venivo, risposi Rimini e la ragazza con aria di sufficienza disse seccamente: “Ma quella è una campagna!” Ci rimasi molto male e pagai il biglietto intero, anche se portavo i calzoni corti. La casa degli Avogadri mi sembrava immensa e la sala dov’era posto il televisore di 50 pollici (dicevano che veniva direttamente dall’America) sembrava una piccola sala cinematografica con diverse file di poltrone. Paola non mi riservò l’accoglienza che mi aspettavo, rimanendo alquanto freddina, forse proprio a causa dei pantaloni corti. Non eravamo più al mare, dove stavamo anche in costume, ma mia madre mi fece i pantaloni lunghi solo due anni più tardi, a seguito delle insistenze di un insegnante (prete) in terza media, che osservò con orrore le mie pudende che fuoriuscivano dai pantaloni mentre giocavo al passo volante. |
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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«Estratto da "Storie di Famiglia" di recente pubblicazione. (1955)» |
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