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La fede di Diogene

Spiritualità

Proprio quando meno te l'aspetti la Vita ti chiede di dimostrare d'esser coerente con ciò che credi perché ciò che credi rappresenta in buona sostanza ciò che sei.

Sono un appassionato scalatore professionista che ama le sfide, in quanto non c’è niente che mi faccia sentire più vivo di quella scarica di adrenalina che si sprigiona affrontando situazioni estreme. Uno dei principi fondamentali in cui credo è che il raggiungimento di uno scopo non sia mai più importante del come lo si raggiunge. Occorre essere granitici, ossia fermi ed irremovibili sulla propria posizione se si ritiene che questa risponda alla propria verità. Vacillare di fronte a certe situazioni “borderline” può significare perdere tempo prezioso che un atteggiamento deciso avrebbe viceversa saputo risparmiare, guadagnando così un’immediata quanto favorevole risoluzione. Quello che mi dà il diritto di considerarmi uno scalatore a tutti gli effetti, non è l’avere a mio vantaggio una serie di record quanto il fatto che anche nei momenti in cui avrei dovuto desistere, non mi è mai venuta a mancare la voglia di tentare il tutto per tutto e questo grazie ad un requisito fondamentale: la Fede.

Nutro da sempre un particolare affetto per la Vergine che considero la mia Madre Celeste, forse perché essendo orfano di mamma ho trasferito su di Lei la sua figura.

All'epoca dell'evento che sto per raccontare, stavo attraversando quella che viene comunemente definita una crisi di mezza età, a carattere prettamente spirituale, in seguito alla quale ho rimesso in discussione tutto quello che dalla religione mi è stato propinato come "dogma", ed in quanto tale, indiscutibilmente vero ... già, ma vero per chi?

C'erano dei momenti in cui mi capitava di entrare in uno stato di profonda depressione e di pormi determinati quesiti ai quali sapevo non avrei mai ottenuto risposte se non quelle che io stesso ero in grado di darmi. Mi interrogavo da una parte sull'utilità delle preghiere, sempre le stesse da millenni, mentre dall'altra riflettevo sul ripetersi degli eventi che nella loro ciclicità sembravano confermare quanto, nonostante le continue richieste di massa, Dio potesse apparire insensibile, dimostrandosi sordo a tutte le suppliche.

Mi chiedevo perché avesse lasciato che certi messaggi venissero manipolati, da quelli che si professano essere Suoi rappresentanti, facendo leva sulle umane debolezze, attraverso lo strumento più persuasivo in assoluto -la paura- al fine di monopolizzare il potere della conoscenza a scapito della Verità.

Ma la domanda che più di tutte mi assillava era: "Come può il fine giustificare i mezzi? Per realizzare quel ciclopico Dipinto che è la Sua Santa Opera, non è forse vero che Dio si è servito di un colore "rosso" particolarmente costoso? Certo è che non ha esplicitamente acconsentito ai genocidi, ma il solo fatto che non sia intervenuto per fermarli, non ne rappresenta forse un tacito consenso? E in questo contesto dove il prezzo dell'Opera è particolarmente oneroso e probabilmente, agli occhi di un profano, ne supera perfino l'effettivo valore, dove si colloca la misericordia divina?" Credo che se fossi vissuto ai tempi dell'inquisizione, questi scottanti interrogativi mi avrebbero letteralmente incenerito, in quanto, senza alcun dubbio, non avrebbero esitato a mettermi sul rogo accusandomi di blasfemia.

Fu proprio questo caos interiore a fare da sfondo all'episodio che mi vide protagonista di quella che posso senz'altro definire la più singolare esperienza della mia vita.

Mi stavo cimentando in un'impresa in solitaria, reputata impossibile sia per l'organizzazione, sia per la progettazione, quanto per l'effettiva realizzazione: si trattava di scalare la parete del Monte Perrin, situato tra le più elevate vette della Valle d'Ayas, alto circa 2900 metri, la cui pendenza raggiunge la massima inclinazione di 86,9 gradi in prossimità della cima (quando cioè si è praticamente allo strenuo delle forze e quando il livello di energia e di ossigeno rasentano ormai il fondo delle proprie risorse).

Scalatori più esperti di me mi avevano soprannominato "Diogene - il pazzo" , dicendo che quel genere di iniziativa non poteva essere portata a termine e che qualora fossi anche riuscito a raggiungere la sommità, non avrei avuto risorse energetiche sufficienti per affrontare la via del ritorno. Mi prendevano in giro dicendomi che da dopo morto, avrei certamente avuto quella famosa "illuminazione" che mi avrebbe acconsentito di ottenere tutte le risposte delle quali ero alla ricerca, ma che non sarei potuto tornare indietro per raccontarla.

Raggiunto il picco più alto del Monte mi stavo godendo lo spettacolare panorama che da quell’altezza assumeva una fisionomia del tutto atipica: i fiumi scorrevano serpeggiando tra sinuosi avvallamenti innevati e rischiarati da chiazze di luce la cui intensità rasentava l'inosservabile. Se fossi stato della stessa pasta dei miei colleghi alpinisti, avrei dovuto issare una bandiera e scattare una foto a riprova del mio successo. Ma io non mi sentivo in dovere di dimostrare niente a nessuno e pertanto dopo essermi rinfrancato lo spirito immergendomi in quello scenario mozzafiato, mi preparai per la discesa pensando che sarebbe stato un gioco da ragazzi e che la parte più faticosa l’avevo ormai superata. Ma le insidie della montagna si nascondono proprio laddove dimostri di sentirti troppo sicuro di te stesso. Calai la corda lungo l’irta parete e cominciai la discesa fissando man mano gli appigli necessari a sostenermi. Ma quando feci per appoggiare il piede sul primo spuntone questo cedette sotto il mio peso facendomi perdere l’equilibrio e lasciandomi sospeso nel vuoto come un fantoccio inanimato. Mi ritrovai a testa in giù ad un altezza di 3000 metri. Nel giro di pochi minuti cominciai ad avvertire i primi sintomi dell’ipotermia mentre l’aria rarefatta non mi forniva l’ossigenazione sufficiente a mantenermi vigile. Un istante prima che perdessi i sensi credo d’aver avuto una sorta di allucinazione: vidi mia mamma nell’atto di accarezzarmi e di rassicurarmi dicendomi:

- “Figlio mio, sii sereno e non permettere che le domande che ti poni prendano il sopravvento su quello in cui credi. Dimmi Figlio, quanto pensi sia forte la tua Fede?”

Senza indugio, risposi: “Incrollabile”...

- “Allora lasciati andare e seguirmi, rinuncia alla vita e ti mostrerò quello che trascende l’eternità.”

- “Come puoi mamma chiedermi una cosa simile? Sebbene non desideri altro che poterti riabbracciare, quello che mi stai proponendo va contro ai miei principi. Prima di rinunciare, devo tentare il tutto per tutto, altrimenti non mi sentirei in pace con me stesso.”

Detto questo il miraggio svanì. Quando riaprii gli occhi, o almeno così mi pare di ricordare, al posto dell’allucinazione si sostituì una gloriosa visione. Mi apparve una donna bellissima, avvolta da un'aura dorata. Era circondata da 12 cherubini che ne sorreggevano il manto color rosso fuoco. Sulla capo indossava una corona di 12 rose scarlatte, nella mano sinistra teneva un candido e profumatissimo giglio, mentre con quella destra m’impartiva la Sua benedizione.

Nei suoi occhi pareva dormisse il Cielo, e la loro profondità era tale che mi trasmisero una serenità che sfociò istantaneamente in commozione, mentre i suoi nudi piedi poggiavano amabilmente sul globo terrestre trasfigurato da una radianza fiammante. In quel momento credo d’aver capito cosa vivono coloro che affermano d'aver provato l'estasi.

“Chi sei?” - Domandai … E Lei rispose:

“Io Sono:

la figlia che si rimette alla saggezza di chi le è Padre,

la sorella che si prodiga per il bene autentico dei Fratelli,

la sposa che abbraccia al seno la sacralità della Famiglia,

l'amante che si abbandona all'estasi della divina contemplazione,

l'amica che sostiene, accettandolo, colui che le si rivela ostile,

la donna che racchiude in sé, accogliendolo, il seme dell'opposto,

la madre che genera la Vita radicando lungo la Via il germoglio della Verità.

Io Sono:

Colei che abbatte gli argini rispettandone i confini,

Colei che vede nell'Ombra la proiezione della Luce,

Colei che sente nella Paura la voce del Coraggio,

Colei che profuma della purezza del pensiero positivo,

Colei che benedice la Natura testimoniandone l'essenza,

Colei che trasforma l'impossibile cambiando la prospettiva,

Colei che colora di trasparenza l'anima delle intenzioni.

Io Sono:

la sarta che tesse la tela del proprio Destino,

la ricamatrice che ne impreziosisce la stoffa,

la poetessa che ne celebra la Gloria,

la pittrice che ne dipinge il Nome,

la scultrice che ne dà Forma e Sostanza,

la musicista che ne accorda le Chiavi armoniche,

la regista, la protagonista e l'interprete del Gioco dei Giochi.”

“Mi compiaccio nell’osservare quanto salda sia la tua Fede. Ciò nondimeno hai dato testimonianza di quanto accorta sia la Consapevolezza che ti abita e che, nella propria autenticità, ha saputo trovare la Via per smascherare l’inganno. Solo chi persevera abbracciando al Cuore la propria Verità, saprà rinnovarsi nel cambiamento, tramutando nello Spirito ciò che di natura è transitorio, in imperituro e perpetuo.”


Chiara Vacchieri 10/03/2011 22:55 1064

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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