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Storia di paese (La rivelazione sconvolgente) 33 Episodio

Fantasy

Anche se a Rosalia dispiaceva tanto non vedere più Bruno, era comunque consapevole che la sua decisione di andar via era la cosa più saggia da fare. Infatti, se avesse deciso di restare ancora, gli avrebbe fatto solo del male e niente più. Il gran caldo ancora non accenneva a diminuire e l’ afa era diventata insopportabile, oramai erano mesi che non pioveva. Dopo una giornata di sofferenza finalmente sul vespro, Rosalia si sedette davanti casa e dopo aver spaccato un grosso cocomero dalla polpa rossa e gustosa, ne addentò una fetta, si stava deliziando e dissetandosi quando vide comparire dal nulla Antonino Privitera in compagnia di Finocchiaro. Alla loro vista si pulì la bocca e si diede un po’ di contegno. I due carabinieri restarono affascinati da ciò che avevano appena visto, lei era seduta con la gonna leggermente sollevata da cui si intravedevano le cosce tornite e sode e la camicetta slacciata di qualche bottone che mostrava l’ intaccatura del seno bianco e formoso. Era semplicemente incantevole, osservarla mangiare con gusto il frutto succolento, le labbra carnose e delineate perfettamente stringevano con voracità la polpa. Rosalia era un abbaglio seducente e incantevole. Fecero fatica a distogliere lo sguardo da tanta bellezza ma soprattutto Antonino, il quale sentiva il suo cuore fermarsi e poi accelerare come un treno impazzito.

Non si era sbagliato quella creatura era una fata, e lui non avrebbe mai rinunciato ad averla tutta per sé ed anche se ci sarebbero stati ostacoli li avrebbe superati pur di conquistarla.

Rosalia dopo essersi sistemata e legandosi i lunghi capelli che ribelli le scendevano sulla fronte, si rivolse a loro chiedendo: “ Ancù ora ca siti?”

Finocchiaro rispose: “ Avemu nutizzia mpurtanti pi vuatri, si ci fati trasiri…”

Rosalia riconoscendo Antonino fu presa da una rabbia quasi incontrollabile tuttavia non le restò altro da fare che farli accomodare.

Si sedettero togliendosi le lucerne e asciugandosi la fronte, Rosalia chiese: “ Vi vì viti ‘ na gazzusa frì dda?”

Antonino assentì: “ Grazzi assai, ci voli propriu.”

Dopodiché lei li fissò con aria interrogativa, aspettava con ansia ciò che dovevano comunicarle e aveva la netta sensazione che non fosse nulla di buono.

Antonino dopo aver bevuto tutto d’ un fiato la fresca bibita, finalmente si decise a parlare: “ Sapemu cu jè l’ assassino ri vuatri matri, jè statu Liborio, l’ omo a lavuru ri lu baruni…”

Nel sentire pronunciare quel nome era così tanto lo stupore e l’ incredulità che le venne un capogiro tanto forte che a malapena riuscì a sedersi e borbottò: “ Nun jè possibili, vuatri sbagghiati, Liborio vulia beni a mo matri…”

Ma quando i militari le raccontarono ogni cosa, capì che non c’ erano più dubbi, nascose il viso fra le mani e scoppiò in lacrime. Antonino avrebbe voluto abbracciarla per darle conforto, avrebbe voluto dirle che poteva contare su di lui in qualsiasi momento invece tacque e dopo averla salutata se ne andò insieme al suo collega.

Dopo essersi ripresa dalla sconvolgente notizia, decise che sarebbe andata al maniero da suo padre, sicuramente anche lui era provato da tutti quegli incredibili avvenimenti, doveva solo aspettare l’ arrivo di Nino ed Assuntina che arrivassero dai campi. Nonostante il sole fosse tramontato da un pezzo, ancora si attardavano a raccogliere gli ortaggi che l’ indomani avrebbe portato in paese per vendere. Ma poi ci ripensò, si era fatto tardi tant’è ritenne che non era il caso di allontanarsi da sola al buio per andare dal padre e così rimandò la visita al mattino successivo.

In fondo al viale, le due figure s’ avvicinavano a casa, Assuntina portava sulla testa una grande cesta piena di verdure e Nino al suo fianco gli attrezzi da lavoro, la videro che inquieta camminava avanti e indietro per il giardino e capirono subito che fosse successo qualcosa.

La zia disse a Nino: “ Comu mai Rusalia jè fù ora e camina avanti e arreti comu ‘ n aceddu pi gaggia? “

Nino preoccupato l’ osservava e quando si fece più vicino, notò che aveva il viso stravolto e arrossato, segno che aveva pianto. Rosalia appena li vide, d’ impulso corse verso Nino abbracciandolo e stringendosi a lui ripeteva: “ Nun putiti crì diri chiddu mi hannu rittu i carabbineri, ‘ ssassinu ri me matri jè Liborio!”

Assuntina fece cadere la cesta che aveva sul capo, spargendo tutti gli ortaggi per terra e urlò con una voce stridula: ” Ma nzoccu rici? Nun jè possibili, Totuccia e Liborio eranu comu frati e soru… Si stannu sbagghiandu…”

Poi vedendo il viso della nipote rigato dalle lacrime e la sua disperazione, comprese che non poteva essere una menzogna, si sedette su un grosso ceppo posto davanti la casa e incredula le chiese: “ Parra… dì ci tuttu chiddu chi sapi.”

Rosalia raccontò ogni cosa con la voce rotta dai singhiozzi, Nino e la zia ascoltavano e non riuscivano a credere a quella incredibile storia, era tutto così assurdo da sembrare più un romanzo inventato che la realtà. Alla fine la ragazza li mise al corrente anche dell’ inspiegabile fuga di Carolina e che quindi quella pericolosa criminale era ancora libera di poter fare del male. Il giovane l’ abbracciò forte ma lei questa volta lo discostò respingendolo e lui cadde nella più completa confusione. Non capiva il perché invece di accettare il suo conforto lo teneva a distanza quasi come se avesse la peste. Il suo sguardo si rabbuiò a tal punto che se ne accorse anche la zia e per rimediare al comportamento della nipote gli disse: “ Nino trasa chi duoppu ‘ na storia simile ci voli ‘ n bicchì eri ri vinu bonu.”

Lui la seguì dentro con al fianco Rosalia che aveva smesso di piangere e si era chiusa in un mutismo preoccupante. Nino si domandava a cosa stesse pensando e se forse aveva cambiato idea sul fatto di volerlo sposare, ma poi ritornò con il sorriso dopo aver bevuto un paio di bicchieri di vino offerti da Assuntina.

Una luna piena e luminosa rischiarava tutta la valle, Rosalia guardava fuori e il suo sguardo si allontanò fino all’ orizzonte, dove il mare accarezzava il cielo. Una pace regnava intorno e cullava i sogni della complice notte. Lei aveva il cuore spezzato ma il dolore si era fatto dolce come le immagini che la natura le offriva. In quel momento sentì la presenza di Totuccia che le accarezzava i capelli, lei si toccò quasi a voler trattenere quella mano che in passato l’ aveva tante volte sfiorata dolcemente e disse: ” Matri mo, u sacciu chi nun mi lassi sula mai…”

Nino la sentì e le chiese: “ Rusalia tu nun si sula ci sunnu iu pi tia e si tu u vorrai ci sarrò sempri insinu a quannu u Signuri mi terrà pi vituzza.”

Ma Rosalia invece di essere confortata dalle sue parole e di ringraziarlo per l’ amore che gli dimostrava in ogni momento rispose: ” Uora sunnu stanca… vogghiu iri a ruormiri pi nun pinsari cchiù a nenti, perdonami Ninu… a rumani.”

Lo lasciò così con l’ amaro in bocca e tanta tristezza nel cuore, più passavano i giorni e più si accorgeva che lei si stava allontanando, chiudendosi in un mondo tutto suo. Salutò ad Assuntina che ancora stava sistemando i piatti nella credenza e si avviò verso il capanno. La donna lo seguì con lo sguardo fino all’ uscita e le pianse il cuore nel vedere la sua sofferenza, infatti non c’ era un dolore più grande che amare una persona che non ti ricambia. Sospirò e alzando gli occhi al cielo pregò: ” Bedda siti Virgini Maria, e u cori iè a Vossia, luci ‘ ntra lu scuru, varcu ‘ ntra lu muru, stidda marina, luci mattutina, rosa amurusa, sunata armuniusa, spiranza i piccaturi, matri dù Sarvaturi, Reina di la paci siti Maria… accumpagnatini duncu ‘ ntra la via, vistuta di suli cu la luna sutta i peri… scunfiggiti i brutti feri… Bedda matri puri di la strania, accugliti puri a mia, cummigliatimi Maria cu lu vostru mantu… e asciucatini lu chiantu…” Dopo si fece il segno della croce e salì nella sua camera dicendo: “ E macari( anche) stainnata (oggi) jè passatu…”

Si stava quasi addormentando quando sentì dei singhiozzi provenire dalla stanza di Rosalia, allora si alzò per vedere se avesse bisogno di qualcosa ma si fermò davanti alla sua porta, non sapeva come consolarla, cosa poteva dirle dopo che aveva saputo chi era l’ assassino della madre? Niente… che potesse alleviare il suo immenso dolore. Quindi ritornò nella sua stanza e si sentì per la prima volta inutile e impotente.

Rosalia dopo aver pianto per quasi tutta la notte si addormentò verso l’ alba abbracciata alla sua piccola che teneramente le aveva messo una manina sul viso.

Nella caserma intanto si stavano organizzando le ricerche della fuggitiva, mettendo a disposizione non solo le unità disponibili in paese ma chiedendo anche il supporto di forze che facevano servizio in altre località vicine. Formato così un consistente numero di uomini iniziò la caccia a Carolina.

Si perlustrò tutta la campagna limitrofa e tutti gli anfratti tortuosi, ma fino a quel momento nessuna traccia della marchesa. Si continuò per tutta la notte e poi si ricominciò con un cambio di uomini. Antonino aveva partecipato con la squadra notturna e dopo si era ritirato nei suoi alloggi per riposare un po’ prima di riprendere le ricerche.

Era sfinito ma il sonno tardava ad arrivare, nella sua mente l’ immagine di Rosalia non lo abbandonava e averla vista così disperata, accresceva in lui la voglia di starle vicino per darle forza. Era così giovane e così infelice da fare rabbia, avrebbe voluto difenderla da tutti e da tutto, per lui era profondamente ingiusto quello che la vita le aveva riservato e aveva diritto di trovare un po’ di pace e soprattutto la felicità, se lo meritava.

Con il suo viso davanti agli occhi, finalmente si addormentò.

Il sole era già alto nel cielo e mentre Assuntina era alle prese con le solite mansioni della giornata, Rosalia dormiva ancora, sfinita dopo una notte quasi insonne era scivolata in un sonno profondo. La piccola rassicurata dalla presenza della madre le dormiva accanto. La zia pensò che non era il caso di svegliarla e ritenne che fosse meglio lasciarla riposare per ritrovare un po’ di serenità.

Stava pensando proprio a questo quando se la ritrovò davanti con il viso sfatto e la piccola in braccio. Rosalia le disse: “ Zia, stainnata vulissa iri da me patri, douppu tuttu chiddu chi succidiu, vogghiu sapiri comu sta.”

Assuntina le rispose: “ Ti accompagnu iu, nun vogghiu chi otinni sula, chidda fì mmina jè ancù ora peri peri… Finisco ri rari u granturcu a li jaddine( galline) e annamu.”

La nipote avrebbe voluto andare da sola, ma sapeva che era inutile contrastare la zia, quindi obbedì senza proferire nessuna parola.

S’ incamminarono lungo il sentiero che portava al maniero, le due donne e la piccola, la quale ogni tanto si lamentava che era stanca e voleva presa in braccio. La mamma la guardava teneramente dicendole: “ Quantu chiantu Rusalia, si ranni ggià pi caminari…”

E così dicendo prendendola per mano la sollecitava ad un passo più veloce, incurante delle sue lamentele.

Erano quasi arrivate quando la piccola disse che aveva sete, così Rosalia si ricordò che lì vicino nascosta fra gli alberi c’ era una sorgente dove da piccola andava a nascondersi quando veniva sgridata a casa. S’ infilò con la figlia fra la vegetazione mentre la zia le aspettava sul ciglio della strada, l’ acqua sgorgava fresca da una roccia, Rosalia unì le mani e raccolse un po’ d’ acqua facendo bere la figlia, la quale dopo essersi dissetata si mise a giocherellare schizzando la madre, questa spazientita la rimproverò minacciandola: “ Annamu chi jè tardu… Si noni ti lassu ca.”

Aveva appena finito di parlare che qualcuno disse: “ Aù u sapi chi i figghi sunnu pezzi ri cori e i mamme sunnu u cori…’ n cori ranni accussì… e allargò le braccia.”

Rosalia guardava stupita Antonino che era spuntato dal nulla, e stava per aggredirlo verbalmente, quando sentì Assuntina che le stava chiamando: “ Rusalia… Rusalia ma quantu ci mì etti… Spicciati chi si jè fattu tardu.”

Antonino dopo un breve riposo aveva ripreso servizio, e si trovava nei pressi del maniero perché stava setacciando tutto il terreno circostante per trovare eventuali tracce della presenza della marchesa, quando vide Rosalia non riusciva a credere che il destino fosse stato così magnanimo nel fargliela incontrare di nuovo.

Lui continuò: “ Comu mai siti ca?”

Lei ribattè con tono aspro: “ E a vuatri nzoccu vi ‘ mpurta, sunnu facenne meu.”

Il carabiniere non si perse d’ animo e rispose: “ Tu u sapi chi sunnu iu, e pozzu fari tutte i dimanne chi vogghiu. Quinni arrispunni…”

Nonostante il disappunto e la voglia di prenderlo a schiaffi ritenne opportuno rispondere: “ Staiu jennu da meu patri, u baruni… vuliti sapiri à utru?”

Il carabiniere: “ Nenti… va beni accussì, ma po’ è ssiri chi ni videmu arrì eri (di nuovo).”

Lei stizzita: “ Vulissa u celu ri no.”

E sparì nuovamente fra le piante che numerose arricchivano quel luogo magico che sembrava uscito da una fiaba per la sua bellezza. Raggiunse la zia che la continuò a rimproverare del suo ritardo fino a quando giunsero al maniero. Lei in silenzio ascoltava ma la sua mente si trovava altrove, stava pensando ad Antonino e alla sua arroganza, ma come si permetteva a trattarla come se si conoscessero da sempre, e poi quei suoi modi sicuri e prepotenti la indisponevano a tal punto da farle perdere il controllo. Sperò proprio di non vederlo ancora. L’ aveva appena pensato che se lo ritrovò nuovamente davanti… Questa voltà sbottò: “ Mi stati arrì eri? Ma cù osa vuliti ri meu.”

Ad Antonino piaceva un sacco quando si arrabbiava, diventava rossa e gli occhi le brillavano come due fari in una notte senza luna.

Lui: ” Iu fazzu sulu u’ me duviri…”

A quel punto Assuntina li guardava incuriosita, cos’ era tutta quella confidenza fra i due? Sembrava che si conoscessero da molto tempo, tuttavia non intervenne nel loro battibecco e sollecitò la nipote ad allungare il passo verso la casa.

Antonino le disse: “ Stamu jennu tutti i dui rintra u stissu locu.”

E si affiancò a loro. Rosalia si rassegnò della sua presenza ed insieme bussarono al grande portone. Venne ad aprire Cicca, la quale li fece accomodare dicendogli di attendere che avrebbe avvisato il barone. Questi non tardò ad arrivare, il viso invecchiato di colpo, due profonde rughe le solcavano la fronte e altre due lateralmente alle labbra, gli conferivano un aspetto triste e malinconico. Però alla vista della figlia e della nipote lo sguardo incupito si illuminò di gioia e non riuscì a trattenersi nell’ abbracciarle. Rosalia ricambiò con affetto, provava un sincero sentimento per quel padre altrettanto sfortunato come la madre.

Lei gli chiese: “ Patri meu comu stati? Haju saputo chiddu chi jè successu, nun ci putia crì riri.”

Il barone rispose: “ Si figghia mo jé accussì, ma iu ù ora mi sentu beni, amaru (amareggiato) ma beni.”

Poi salutò Assuntina e chiese ad Antonino come mai si trovasse lì. Lui disse che stava perlustrando tutto il terreno di sua proprietà ed aveva delle domande da fargli. A quel punto si ritirò in una stanza per parlare da solo con con lui e pregando le due donne ad aspettarlo che si sarebbe sbrigato subito.

Cicca comparve nuovamente chiedendo cosa potesse offrirgli da bere, poi avendo ricevuto un rifiuto, prese la piccola con sé e la portò in cucina per darle un dolce appena sfornato. Assuntina e la nipote ne approfittarono per sedersi in giardino e riposarsi un po’.

Anna Rossi 06/09/2021 06:04 1 909

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.

I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Rosalia... la bellissima ragazza è abbonata alle cattive notizie... e quest’ultima non è facile da accettare. Liborio è dietro a tutti gli omicidi che hanno sconvolto la sua vita e quella del piccolo paesino in cui vive. Ma nonostante questo il destino sembra volerle regalare qualcos’altro... che sia Antonino l’uomo che la potrebbe rendere felice? Il giovane carabiniere ha perso completamente la testa per la ragazza... e lei sicuramente, anche se non lo vuole ammettere, comincia a sentire qualcosa... un qualcosa che palpita dentro un’apparente antipatia... un’antipatia che potrebbe diventare altro...
La brava Autrice continua a sorprendere il lettore... e lascia aperte le porte della fantasia a chi legge...»
Giacomo Scimonelli

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