Intorno, s’ era radunata molta gente, alcune timorose osservavano a distanza, altre si avvicinavano curiose e venivano allontanate dai carabinieri che erano accorsi dalla stazione vicina. Nino ancora non aveva capito chi era il morto, cercava di farsi strada tra la folla per vedere meglio, quando le urla di alcune donne accorse, rimbombarono violentemente nel piccolo borgo, squarciando il silenzio innaturale che era piombato nella valle. Era Ninetta, accompagnata da alcuni parenti che gridava incessantemente il nome del marito, Saro.
Qualcuno gli aveva conficcato nel cuore un coltello a stiletto, era spirato all’ istante senza avere nemmeno il tempo di gridare. Il delitto era stato commesso in nottata, e nessuno almeno così sembrava aveva visto o sentito qualcosa. Anche se era risaputo che qualora ci fossero stati testimoni, la grande omertà che regnava in paese avrebbe avuto la meglio sul senso civico e morale. La paura di ritorsione era la regina incontrastata nelle menti delle persone e tutti allunisono pensavano:” Iu nun viu, nun sentu, nun parru.”
Nino era sgomento, Saro era il padre della bimba di Rosalia, era stato il grande amore di quest’ ultima, come avrebbe reagito alla notizia della sua uccisione? Inoltre chi poteva essere stato? E chi aveva interesse ad ucciderlo? Questi erano tutti gli interrogativi che si poneva Nino.
Finalmente era potuto avvicinarsi un po’ di più, Ninetta sconvolta gridava: ” Amuri mo, chi ti ficiru? Nun mi po’ lassari sula…”
Qualcuno cercò di tenerla lontana, anche se il dolore straziante della donna era più forte del tentativo di evitare che vedesse il corpo del marito in quello stato. Poi tra la folla notò la figura impassibile di Biagio, il quale seguiva tutta la scena senza batter ciglio. Nino si chiese se non c’ entrasse lui con l’ omicidio di Saro, sapeva di cosa era capace e rabbrividì al sol pensiero che potesse far del male anche a Rosalia.
Dopo tutti gli accertamenti del caso, il corpo venne trasportato via, la strada ripulita ed ognuno ritornò nelle proprie abitazioni, solo Biagio restò nella piazzetta a fumarsi il suo solito sigaro. Vedendo Nino gli disse: ” Puri tu si ca, comu mai?”
” Iu staiu travaggì annu, tu, mmeci cu fai ca?”
Biagio a quel punto in segno di sfida, esclamò: ” Semu uomini, e facì emu gli uomini… tu u sai picchì sunnu ca.”
Nino aggiunse: ” Truvamu ‘ npuostu cuetu.”
Raggiunsero la pineta che portava al mare, alcuni pescatori erano appena ritornati da una notte al largo e scaricavano delle cassette con il pescato da vendere, uno di loro disse all’ altro: ” E chisti da unni spuntanu? Nun sunnu ri ca.”
Poi continuarono il loro lavoro però senza smettere di osservare i due uomini…
Biagio stava dicendo a Nino: ” Rusalia devi rari a lì ttira a meu, chi me matri li ha datu.”
” Rusalia nun sapi nenti, lassala stari e torna a nfernu da unni si vinni.”
Questi, alzando la voce: ” Nun ci semu capiti… iu nun parto sì enza a lì ttira.” Nino capì che in quella lettera c’ era scritto qualcosa di molto importante, che aveva a che fare con l’ eredità di Donna Lucia e il figlio non si sarebbe mai rassegnato a perderla.
Dopo essersi scambiati altre battute dello stesso genere, Nino promise di aiutarlo nella ricerca di quello che gli premeva, a patto che non importunasse più a Rosalia.
Nel frattempo, Assuntina si trovava nei campi con i braccianti, per mostrare loro i lavori più impellenti da fare, passò da lì un uomo su di un asino carico di sacchi di patate, si fermò salutando e disse: ” Assuntina avi saputu chiddu chi succidiu? Hannu ammazzatu Saro…”
Lei d’ istinto si tappò la bocca soffocando il grido di incredulità, poi domandò: ” Cue statu?”
Sariddu, l’ uomo con l’ asino rispose: ” Nenti, nun lu sacciu, nuddu lu sapi…” Detto questo si avviò per la sua strada.
Assuntina e gli uomini che erano con lei, sconvolti dalla notizia, parlavano fra loro facendo varie supposizioni su chi poteva essere stato, uno di loro disse: ” Saru era unu cu a capu cà vuru, li piacivanu tropp’ assai li gonne.”
Assuntina ascoltava ma la sua mente stava viaggiando su altri binari, preoccupata per la nipote e su come avrebbe dovuto darle la notizia. Sapeva che ancora non l’ aveva dimenticato e poi era sempre il padre di sua figlia.
La precedette Nino, infatti tornò per primo a casa e trovò Rosalia che stava innaffiando alcune piantine di basilico, la guardò e il cuore s’ intenerì vedendole sempre quella espressione triste sul viso. Adesso avrebbe dovuto darle quella brutta notizia e lo spaventava la reazione che avrebbe avuto…
La chiamò dicendole: ” Rusalia vè ni ca, assettati.”
Lei lo fissò con aria interrogativa: ” Nzoccu c’è? Uora nun haju tiempu ri parrari.”
“ ‘ N minutu… Astanotti hannu attruvatu Saru, mortu…”
Rosalia aveva sentito ma è come se nella sua testa fosse scoppiato un uragano, le parole di Nino le tuonavano nelle mente e ripetevano ininterrottamente… Saro morto… l’ hanno ammazzato… Saro morto…
Nino vedendo che non reagiva le chiese: ” Capisti? Rusalia… capisti?”
Lei come se fosse morta e poi rimandata indietro in un baleno, annuì con la testa e poi senza dire nemmeno una parola rientrò in casa. Lui provò a fermarla chiamandola: ” Rusalia…”
Ma lei non lo ascoltava più. Si richiuse la porta alle spalle e salì nella sua stanza dove la piccolina dormiva tranquilla. La guardò con tenerezza mentre le lacrime scendevano copiose rigandole il viso e disse: ” Figghia mo, stainnata u’ to patri ci avi lassatu pri a secunna vù ota e pi sempri.”
Si buttò sul letto e pianse tutte le sue lacrime.
Totuccia informata da Nino dell’ omicidio di Saro e ansiosa per la figlia, bussò alla sua porta ma si sentì rispondere: ” Matri… iti via, vogghiu stari sula.”
Lei, ubbidì rispettando il suo dolore.
Per tutto il giorno nel paese non si fece altro che parlare del brutale assassinio, intanto le forze dell’ ordine facevano domande a chiunque, chiedendo se avessero visto o sentito qualcosa ma com’ era prevedibile nessuno aveva visto o sentito niente. Il maresciallo, un certo Calogero, chiamato con il soprannome di “ U dirittu”, nel senso che non ne lasciava passare una, si interrogava sul movente dell’ uccisione e su chi aveva voluto porre fine alla vita di un semplice “ Custureri” (sarto).
Decise di andare a parlare con Ninetta, anche se sapeva che non era il momento ma ” Lu fì erru si batte quannu jè cà vuru.”
Chiamò altri due commilitoni e si recò presso il rione di Sant’ Anna, lì le case non erano addossate una con l’ altra, ma erano divise con degli steccati in castagno che delimitavano anche dei piccoli orti attaccati alle abitazioni. Si fermarono davanti alla casa di Saro, nella quale c’ era un via vai di persone che andavano a porgere le condoglianze alla povera vedova, quando videro i carabinieri se ne andarono tutti lasciando da sola Ninetta. Lei con il viso distrutto dal dolore e dai graffi che si era fatta dalla disperazione, vedendoli gridò: ” Iu u sacciu ri cu jè a curpa, jè ri chidda mala fì mmina ri Rusalia.”
Il maresciallo Calogero le chiese: ” Cu jè chista Rusalia?”
Ninetta: ” Jè a niputi di Assuntina e Totuccia, chidde ca sunnu ‘ n econumì a (cascina) di lu vì ecchiu trappitu (frantoio).
Il maresciallo volle sapere cosa c’ entrasse Rosalia e Ninetta come un fiume in piena le raccontò ogni cosa poi concluse: ” Meu maritu jè statu pigghiatu ‘ n rattera (trappola) ri idda e cumpari.”
Calogero se ne andò più confuso di prima, ma di una cosa era convinto che la donna avesse accusato Rosalia più per gelosia che per certezza della sua colpevolezza, tuttavia il dovere lo costringeva a prendere in considerazione tutte le ipoesi possibili ed ogni dettaglio che riguardava la vita di Saro.
Gli venne in mente che una persona, la quale di solito sa tutto in un paese oltre il barbiere, è il sacerdote e così il maresciallo pensò di andare a parlare con Don Orazio, anche se c’ era il segreto della confessione, forse qualcosa avrebbe potuto dirla in nome della giustizia terrena.
Lo trovò che aveva appena finito la funzione religiosa, quando vide Calogero gli andò incontro intuendo già il motivo della sua visita, sicuramente si trattava della morte di Saro. Lo fece accomodare nella canonica e dicendo alla perpetua: ” Sabedda, prepara lu cafè pi u maresciallo.”
Questi rispose: ” Nun vi astutati (scomodate)…”
Don Orazio: ” Pi vuatri nudda siccatura, ma parrati, comu vi pozzu aiutari?”
Calogero iniziò con alcune domande sulla vita di Saro e del suo rapporto extraconiugale con Rosalia…
Il sacerdote rispose vagamente avvalendosi del suo dovere di segretezza sulle confidenze di alcuni paesani, ma una cosa se la sentì di fare, prendere le difese di Rosalia: ” Marescià, Rusalia nun c’ entra nenti, idda jè sulu una vì ttima comu Saro. A genti parra sempri tropp’ assai.”
Calogero se ne andò deluso, non aveva potuto scoprire granchè da quell’ incontro, l’ unica cosa che aveva ottenuto era la descrizione del profilo di quella ragazza, a detta del prete costei era una brava figliola, ma con una vita travagliata fatta di inganni e bugie e si era trovata suo malgrado in una situazione spiacevole e dannosa per la sua reputazione.
Contemporaneamente Nino stava parlando con Totuccia ed Assuntina sulla reazione di Rosalia alla brutta notizia. La madre chiese al giovane di avere pazienza che il tempo avrebbe guarito le ferite, e dicendogli questo pensò che nemmeno lei ci credeva, infatti, erano passati tanti anni e per Totuccia i ricordi le sembravano ancora dei macigni di cui difficilmente avrebbe potuto liberarsi.
Nino disse: ” Iu pi Rusalia sunnu dispunutu a stari na vita ad spittari…”
Quella sera Rosalia non uscì dalla sua camera, non volle cenare né parlare con nessuno, era sconvolta, pur sapendo che per lei e Saro non ci sarebbe mai stato un futuro, il sentimento che provavano non si era mai affievolito, loro si amavano in silenzio a dispetto di tutti e di tutto.
Disse a sé stessa: ” U cori nun si comanda, iddu va pri la so strata… macari si (anche se) jè ‘ n sbagghi.”
Era come tramortita, incredula, non riusciva a credere che qualcuno avesse potuto fare qualcosa di così atroce. Sentiva il desiderio di vederlo per l’ ultima volta, ma come poteva farlo?
La notte la trascorse con gli occhi sbarrati nel buio, rivedeva Saro, i loro incontri, le risate, gli abbracci, il desiderio di stare soli per fare l’ amore, gli sguardi innamorati, l’ incoscienza del loro sentimento che superava il timore di essere scoperti. Poi in mattinata, sfinita, la stanchezza prese il sopravvento e si addormentò. Il sonno si trasformò in un incubo, si trovava in cima ad una montagna abbracciata a Saro, lui la guardava negli occhi, accarezzandole il viso, le diceva: ” Amuri miu, nun cianciri, iu ti starò sempri vicinu, quannu vedrai ‘ n aipa (gabbiano) chi vola accanto a tia, sunnu iu.”
In quell’ incubo interminabile il suo viso si trasformò in una maschera di dolore e precipitò nel vuoto urlando il suo nome.
Improvvisamente si svegliò, sentiva che le mancava l’ aria, qualcuno le stava stringendo il collo, e stringeva sempre di più, sbarrò gli occhi terrorizzata mentre cercava di liberarsi da quella morsa, vide sopra di lei l’ ombra scura di un uomo, credeva che fosse arrivata la sua ora, poi le mani allentarono la presa ed una voce le disse: ” Chistu jè chiddu chi sunnu capace, jè sulu ‘ n infurmazzioni, stay pi campana, a prossima vù ota jè l’ ultima.”
Rosalia finalmente riuscì a respirare tossendo ripetutamente e toccandosi il collo, poi l’ uomo fuggì lasciandola in preda al terrore e conati di vomito. La piccola svegliata dal trambusto iniziò a piangere, Rosalia con fatica le si avvicinò per tranquilizzarla. Aveva riconosciuto l’ aggressore era Biagio, quell’ uomo non l’ avrebbe mai lasciata in pace se non avesse ottenuto ciò che voleva… bevve un po’ d’ acqua per riprendersi dal forte spavento e si sedette sulla sponda del letto, non sapendo più cosa fare.
Il corpo di Saro venne portato nella provincia per l’ autopsia, che appurò l’ ora della morte e le modalità dell’ omicidio nonchè l’ arma usata.
Era stato commesso circa alle due di notte, da distanza ravvicinata e colpito da una sola coltellata dritta al cuore. All’ apparenza sembrava che chi si era macchiato di tale delitto fosse stata una persona dal sangue freddo e inoltre doveva possedere una tale determinazione da colpire proprio il punto esatto per uccidere con un solo fendente.
Le indagini intanto proseguivano senza interruzioni e il maresciallo, cercò ulteriori informazioni sulla famiglia di Rosalia, su quella di Saro e soprattutto si concentrarono sul forestiero che alloggiava da Nonna Cetta, cioè Biagio. Gli avevano riferito che la sera prima c’ era stato un litigio fra lui e Saro, e l’ uomo aveva minacciato il Sarto con uno stiletto.
Ninetta dopo che tutte le persone se n’ erano andate, lasciò il figlio che dormiva e coprendosi la testa con un pesante scialle, uscì di nascosto, si guardò in giro per essere certa che non ci fosse nessuno e poi si avviò per una stradina stretta fatta in pietra, continuando verso il faggeto per poi fermarsi davanti ad un vecchio rudere.
L’ uomo l’ aspettava nella penombra: ” Ci ni hai misu ri tiempu, sunu ore chi ti aspetto… Purtasti i sordi?”
Ninetta: ” Haju dovuto spittari chi tutti si ni andassero… ci vuli giudizziu…”
L’ uomo si fece avanti, si tolse il cappì eddu e la luna rischiarò il suo viso. Non aveva più l’ aspetto di una persona mite e accomodante come tutti lo conoscevano, ma i tratti del suo viso induriti e il suo sguardo freddo e calcolatore faceva rabbrividire…
La donna tolse un sacchetto nascosto fra i seni e lo porse all’ uomo.
Questi si accertò che fosse tutto il denaro pattuito, poi fece un inchino con il cappello e si defilò fra i faggi. I rintocchi dell’ orologio della chiesa battevano quasi la mezzanotte, Ninetta si coprì bene in modo che nessuno potesse intravedere il suo viso e ritornò a casa.
Il corpo di Saro le fu restituito dopo tre giorni, sigillato nella bara di noce e pronto per la sepoltura, Al rito funebre parteciparono in pochi, la gente aveva paura di venire coinvolta anche solo con la loro presenza. Ninetta era tenuta sottobraccio dai familiari, camminava davanti al piccolo corteo funebre, il viso tirato, senza una sola lacrima, alcuni dicevano: ” Avi chiantu accussì tantu chi ù ora nun avi cchiù lacrimi…”
Altri: ” U duluri l’ avi fatta ri mà rmuru… mischina fimmina…”
E intanto si facevano il segno della croce davanti al passaggio della bara.
Per i giorni a seguire, quel fatto di cronaca tenne banco in ogni luogo del paese, nelle case, nelle piazze, nei bar e perfino in chiesa, anche perchè non si era ancora scoperto chi era l’ autore del misfatto e quindi c’ era un assassino che girava tranquillamente in mezzo a loro.
Rosalia distrutta dal dolore, si sentiva come se un pezzo del suo cuore se ne fosse andato per sempre e seppellito con Saro. Cercava di sforzarsi con gli altri per non fare vedere tutte le lacrime che ricacciava continuamente indietro. Nino sembrava molto affettuoso e paziente, inoltre essendo sopraggiunti altri lavori nei campi si era trattenuto per un periodo più lungo così da porterle stare accanto. D’ altro parte Rosalia, anche se la sua presenza non era invadente, avrebbe preferito che se ne fosse andato al suo paese per poi ritornare in seguito, per i preparativi del matrimonio. Avvertiva l’ esigenza di stare da sola per accettare la morte di Saro e trovare in sé la forza di andare avanti nonostante tutto.
La madre e Assuntina le stavano vicini in modo discreto, facendole sentire l’ affetto necessario per superare la grande, pena ma senza tuttavia forzare la mano. Per giunta, cosa che loro ignoravano, c’ era l’ ombra di Biagio che serpeggiava pericolosamente intorno a Rosalia, questi ancora non se n’ era andato e spesso girava intorno alla cascina per far sentire la sua presenza minacciosa. La ragazza non sapeva più cosa fare, anche perché nemmeno Nino era riuscito a fargli cambiare idea. Della sua aggressione non ne aveva fatto parola con nessuno neanche con lui. Nino le aveva riferito che quello che cercava l’ uomo era una lettera che aveva scritto la madre. Rosalia si sentiva impotente di fronte alla malvagità di Biagio e soprattutto non sapeva assolutamente niente di quella missiva scritta da Donna Lucia. Fino a quando, un pomeriggio era nella sua camera e stava mettendo in ordine, quando rinvenne in un angolo la sacca che si era portata dietro nel suo viaggio a Catania. Se n’ era prorio dimenticata, l’ aprì e dentro c’ erano alcuni suoi effetti personali e poi inaspettatamente trovò un fazzoletto di pizzo che riconobbe subito essere di Lucia, era piegato come un cannolo, a Rosalia le tremavano le mani perché aveva capito che forse quello che voleva Biagio era lì, nascosto.
Strotolò il fazzoletto e dentro piegata più volte c’ era una lettera e una piccola chiave. La scrittura che riconobbe imediatamente, era di Lucia ed era indirizzata proprio a lei. Scritta un po’ in italiano, intercalata da molte frasi in dialetto.
“ Cara Rusalia, ti chiedo perdono pi tuttu u mali chi ti fici, vulissa turnari arreti, ma arreti nun si torna. A mo vituzza jè stata tutta unu sbagghiu. Ù ora jè tardu pi canciari… ma ‘ na cù osa a pozzu fari. Chista jè a chiavi ri ‘ na nica cassaforte rintra c’è u ‘ me testamento. Ti lassu tuttu chiddu chi jè mo a tia e a la picciridda. Chista jè ‘ n manera po ì esseri, pi ripagarti du mali fattu e pi fari chi u Signuri avi pietà ri a mo anima.” La lettera poi continuava dicendo che aveva intenzione di porre fine alla sua vita e poi alla fine scritto in grande: ” Priga pi mia.”
Rosalia dopo aver letto e riletto, restò a fissare quelle parole scritte con fermezza e marcate quelle più importanti poi disse ad alta voce: ” E ù ora chi fazzu? Iu nun vogghiu nenti da chidda genti.”