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Storia di paese (La proposta) 19 episodio

Fantasy

Ci vollero alcune settimane prima che Rosalia si rimettesse quasi del tutto, oltre ai lividi del corpo c’ erano soprattutto quelli dell’ anima. Tormentata creatura qual’ era, non comprendeva l’ odio della gente contro di lei, poteva capire Ninetta, moglie tradita, la quale aveva tutti i diritti di avercela con lei, il tradimento è un dolore così profondo che ti annienta nel corpo e nell’ anima, ti fa sentire un nulla di fronte all’ altra, distrugge ciò che si è costruito negli anni con il matrimonio, figli, progetti, futuro… no, non si può quantificare una sofferenza così immane… e lei capiva e soffriva per questo, per tutto il male che aveva procurato. Ma nello stesso tempo era convinta che se era andata in quel modo, vuol dire che doveva andare così… un progetto al di sopra delle sue intenzioni.

Rosalia infatti credeva che tutto fosse scritto già alla nascita di ciascuno e non c’ era possibilità di fare cambiare direzione al fato, perché tutti i tentativi sarebbero stati vani. Quasi certamente la sua convinzione derivava dal suo trascorso non bello e pieno di ostacoli ed imprevisti. Nel frattempo la piccola cresceva ed iniziava a dare i primi passi e per lei, sua figlia era diventata la migliore medicina, passava intere giornate ad accudirla ed insegnarle a camminare. Nonostante ciò, aveva sempre lo sguardo triste di chi pensa che la sua vita sia finita, senza amore, senza più sogni, senza aspettative e di questo se ne erano accorte sia la madre che la zia. Spesso le sentiva confabulare fino a tardi, si soffermavano a parlare del suo futuro ed erano molto preoccupate per la piccola. La ferita sulla fronte era quasi guarita ma il segno anche se piccolo era rimasto a ricordarle tutti i giorni l’ accaduto. I punti di sutura li aveva tolti lei, per evitare di recarsi in paese o fare venire Don Raffaele a casa.

Era la metà di Marzo, nell’ aria si sentiva già odore di primavera, la natura si stava risvegliando con un’ infinità di colori ed essenze. I mandorli erano fioriti ed emanavano un profumo intenso da saturare tutta l’ aria intorno. Oltre a questi, anche i susini erano ricoperti da una miriade di fiorellini rosa, per non parlare del giardino: narcisi, tulipani, viole del pensiero, rancucoli, era la vita stessa che si rinnovava in ogni suo piccolo essere vivente, rappresentava la speranza che non muore mai, anche se sembra sia morta.

Essendo una bella giornata di sole Assuntina e Totuccia decisero che era il momento di far uscire Rosalia da quell’ isolamento in cui si era rinchiusa volontariamente, le chiesero di andare in paese per comprare della farina, si stava avvicinando la Pasqua e dovevano preparare i “ Buccellati” e gli “ Aceddi cu l’ ova”, cioè i biscotti preparati con la pasta frolla, alla quale viene data la forma di un uccello, guarnito poi con un uovo sodo fissato al biscotto con un’ altra striscia di pasta frolla. Rosalia titubante alla loro richiesta chiese: ” Propriu iu devo jiri? Nun mi sentu ancù ora…”

Assuntina con un tono che non ammetteva repliche rispose: ” Iu a jì ri a cù ogghiri i ultimi partualli (Arance) e to matri devi aspettari u pastori pi la zabina (ricotta), quinni a jì ri tuni.”

A Rosalia non le restò altro che ubbidire, quindi a malincuore si incamminò per il paese, mentre scendeva giù per la collina pensava: ” E se incontro il barone? E se incontro Munidda? E se incontro Saro? E se se… e se poi.. si sentiva scoppiare la testa…

Dopo gli ultimi avvenimenti era diventata più fragile, insicura.

Si fermò un attimo ad osservare il paesaggio, dal punto dove si trovava poteva vedere tutto il paese, le vecchie case fatte in pietra, i vicoli che serpeggiando fra esse, formavano degli intrecci che portavano tutti alla piccola piazza, dove si ergeva la Chiesa, e poi in fondo si vedeva il mare di un blu intenso, sul quale piccoli pescherecci ritornavano dopo una faticosa notte di pesca. Rosalia pensò che appariva un paese tranquillo, dove la gente si rispettava e si aiutava vicendevolmente, dove si poteva ancora lasciare la chiave alla porta, senza aver paura che qualcuno potesse entrare e derubare, invece l’ apparenza inganna e purtroppo niente è mai come potrebbe sembrare.

Fece un bel respiro per farsi coraggio e s’ avviò per la strada principale, alcune donne chiaccheravano dai balconi ma appena la videro, subito si affrettarono a salutarla:” Rusalia, da quantu tiempu, i toi zie comu stannu?”

Lei alquanto sorpresa rispose: ” Beni grazzi…”

E senza aggiungere altro si diresse a passo svelto al mulino. Pensò che era strano il comportamento di quelle comari, era la prima volta che le si rivolgevano a lei con un tono gentile. Entrò nel mulino con l’ ansia di chi si aspetta il peggio, invece il mugnaio Bertu non appena si accorse di lei, lasciò subito quello che stava facendo per servirla.

Le chiese: ” Donna Rusalia, comu vi pozzu aiutari?”

Lei pensò o sono diventati tutti matti o sono io che ho le allucinazioni, mi ha chiamato donna, un modo di rispetto che fino a poco tempo fa nessun avrebbe pensato di usarlo per lei: “ Tri chili di farina janca e tri chili ri farina giarna.” L’ uomo la servì subito, ringraziandola e mandando i saluti a casa.

Rosalia sempre più frastornata continuò a fare le sue commissioni, ma tutte le persone che incontrava le parlavano con rispetto e gli uomini si toglievano finanche le coppole al suo passaggio. Decise di entrare in chiesa, sentiva il desiderio di pregare davanti alla statua della Madonna della Catena. In quel momento non c’ era nessuno, si avvicinò con devozione e si rivolse alla Madonna: ” Diu vi salvi Rigina, Maria di la catina, di grazii siti china, otri misura, la matri si sicura, ca sempri hai libiratu di lazzi du piccatu, cu a tia ricurri a succurri… a cui mi hai vutari? Si no a la matri mia, aiuta puri a mia, bedda Maria… o vui chistiani vattiati, curriti a la matruzza, ca cu voli la grazia, ci la fa… glora a lu Patri eturnu, o figghiu sapienti, o spiritu i buntà eternamenti…”

Alla fine accese un cero e baciò la statua, stava per uscire quando entrò Don Orazio: ” Agneddu chi torna all’ ovile… Rusalia da quannu ci manchi pi cresia, da Natale?”

” Mi scusassi ma nun sunnu stata beni…”

E abbassò lo sguardo per aver detto una bugia, ne erano passate di domeniche dopo Natale ma lei aveva avuto timore di affrontare gli occhi cattivi della gente.

Don Orazio le rispose: ” Pi chista vù ota pirdunu a tia… ma riri tuttu a postu?” Rosalia a quel punto scoppiò a piangere e il sacerdote la fece accomodare in sacrestia. Le parlò con voce amorevole, provava una gran pena per quella ragazza: ” Figghia mo, Diu a vù oti ci manna prove difficili da vì nciri ma cu a fidi e u so ajutu, sopportiamo tutti i duluri, nun pì erdiri mai a spiransa… Iddu nun disidera nuddu pirdutu.”

Rosalia confessò tutto ciò che le era successo, di Saro, di Bruno, dell’ aggressione di Ninetta e alla fine anche di aver saputo di essere figlia del barone. Il prete ascoltò con interesse tutta la storia, anche se sapeva già la maggior parte delle cose perché molte persone coinvolte si era andate a confessare per liberarsi la coscienza. Allora le prese entrambe le mani e le parlò come un padre ad una figlia: ” Primu a duviri fari chiaru intra ri tia, lassa parrari u cori, dù oppu nun sintiri chiddu chi riri a genti, a vituzza tua jè cchiù mpurtanti ri chidda de à utri.”

Dopo aver parlato con Don Orazio si sentiva molto più serena, lo ringraziò promettendogli che non si sarebbe persa nuovamente inoltre, dovevano anche fissare la data del battesimo della bambina. Stava per varcare il portone quando si girò verso il prete e gli chiese: ” Don Orazio sapiti chi succediu a genti? Picchì ù ora mi parra e saluti…”

Lui sorridendo le rispose:” Prubbabbirmenti a aviri ‘ n à ncilu chi sta vicinu a tia.”

Rosalia non era convinta che fosse veramente un angelo, ma le parole del prete continuarono a martellarle in testa e se qualcuno era venuto in sua difesa? E chi? Saro? Il detto è vero quando si parla del diavolo spuntano le corna, perché non aveva neanche girato l’ angolo che se lo trovò davanti.

Le disse: ” Quinni jè vì eru chi sie ccà.”

Rosalia arretrò come se avesse visto un fantasma dicendo:” Iu sugnu ca, ma pi tia sugnu morta.”

Lui aggiunse: ” T’ haju vistu, chistu mi basta.”

Mentre si stavano scambiando queste poche parole le si avvicinarono due uomini, i quali le chiesero: ” Signurina, pi caso chistu omu vi mpurtuna? Vuliti aiutu?”

Lei rispose imbarazzata: ” No, nun ci sunnu prubbremi, chistu si ni sta jennu…” Saro sapeva che erano gli uomini del barone, quindi con la coda fra le gambe se ne andò dicendo: ” Salutamu!”

Per Rosalia ogni volta che lo incontrava era un dramma, un misto d’ amore e odio… disse fra sé: ” Ma quannu finisce chista addannazzioni? Quantu haju cianciri ancù ora.”

Ritornò a casa verso mezzogiorno, Totuccia stava preparando il pranzo e la piccolina giocava tranquillamente, appena vide Rosalia subito iniziò a piangere per essere presa in braccio, la madre le disse: ” Quanti vizi chi stamu prendendo vì ero? Amuri di la matri.”

La prese in braccio e se la strinse forte a sé riempendola di baci tanto che Totuccia ridendo esclamò: ” Eh..eh chi a consumi povera figghia.”

Per lei vedendola così serena vicino alla piccola le si riempiva il cuore di gioia, pensava a se stessa che non aveva mai potuto abbracciare Rosalia con lo stesso trasporto perché gli altri non dovevano sapere che era sua figlia.

Poi l’ osservò con apprensione ma le pareva che era ritornata dal paese, relativamente tranquilla, segno che non doveva essere successo niente che aveva potuta ferirla. Per esserne sicura le domandò: ” Tuttu beni pi pà isi? Avisti impicci?”

Lei le raccontò che la gente si era comportata stranamente, non solo non l’ aveva insultata o altro, anzi l’ avevano trattata con rispetto e ossequiandola, specificando che anche gli uomini al suo passaggio si erano tolti la coppola. Nel sentire le parole della figlia, Totuccia capì che cosa poteva aver fatto cambiare comportamento ai paesani, era stato sicuramente l’ intervento del barone. Comunque non ne fece parola con lei e continuò a cucinare. Aveva preparato minestra di ceci e finocchietto selvatico con le tagliatelle fatte in casa, un piatto tradizionale siciliano che nei mesi invernali riscaldava il corpo e lo spirito. Oltre a questo aveva anche fatto le ” patate vastase”, cioè delle patate pasticciate con pomodorini, cipolla e mozzarella. Vedendo tutto questo ben di Dio, Rosalia chiese: ” Matri mo e chi veni a mancià ri ca, ‘ n reggimento?”

La madre: ” Assettati chi si arrifridda, e aviri mancià ri pi turnari ‘ n fù orza.”

Intanto era ritornata anche Assuntina dagli agrumeti, con una grande cesta di arance dolci sulla testa, la nipote l’ aiutò, dicendole: ” A prossima vù ota vegnu puri iu a aiutarti, nun si cchiù ‘ na carusa.”

Alle sue parole scoppiarono a ridere, era un sacco di tempo che in casa non si respirava un’ aria così serena, ed era una sensazione piacevole di pace e tranquillità. Stavano consumando il pranzo quando sentirono bussare alla porta Assuntina disse: ” Cu jè ù ora?”

Andò Totuccia ad aprire e si trovò davanti il braccio destro del barone, lo conosceva perché era rimasto fedele al padrone già da quando lei era a suo servizio, solo che adesso erano passati gli anni e l’ età cominciava a farsi sentire. Infatti dal bel ragazzo prestante che era prima, ora era una persona matura con i capelli grigi ma pur sempre in forma. Totuccia le chiese: ” Liborio, vuatri ca? Cu vi carrì a (porta)?”

” Mi scusassi pi l’ ora, ma u patruni mi avi mandatu pi fari rialu a vuatri pi ajutu quannu a lavanca (frana).”

Le porse un grande cesto con i prodotti dei poderi del barone. Lei come primo istinto, lo voleva cacciare in malo modo, tuttavia nei confronti di Liborio nutriva un affetto sincero, quante volte veniva sgridata ingiustamente e lui interveniva a difenderla e a consolarla. Quindi, se pur a malincuore accettò il cesto, ringraziando Don Vincenzo e puntualizzando che non c’ era bisogno che si scomodasse e aggiunse di non mandare più nulla perché non lo avrebbe accettato. Rientrò in casa visibilmente turbata, Assuntina le chiese chi aveva portato quel cesto, lei rispose: ” Liborio, avà ia tuttu a li galline, nun vogghiu nenti da chiddu omo.”

Assuntina rispose: ” Jè piccatu, si nun li vulivi, ddà mannavi arrì eri.”

Totuccia non aveva voglia di discutere, prima dell’ arrivo di quell’ uomo erano in pace e si stavano godendo il pranzo, non voleva rovinare tutto con l’ ennesimo litigio.

Rosalia assistette per l’ ennesima volta al disprezzo di Totuccia verso quello che era suo padre, almeno era quello che la madre dimostrava ogni qualvolta si nominava, con tutto ciò c’ era ancora qualcosa che le sfuggiva, una sensazione strana, come se la madre nascondesse qualche altro segreto.

L’ indomani, quasi all’ alba, Totuccia uscì di casa senza dire dove sarebbe andata, Rosalia sentendo che scendeva le scale così presto, aveva spiato dalla porta e l’ aveva vista coperta con la mantella pesante, quella che indossava per andare in paese, poi era andata alla finestra e l’ aveva seguita con lo sguardo fino a che era sparita dalla sua visuale. Subito andò nella camera della zia e le disse ciò che aveva visto, chiedendole se lei sapesse dove era diretta la madre. Però anche Assuntina era all’ oscuro di tutto, anzi a quella notizia si allarmò parecchio, a quell’ ora poi… si intravedeva appena il sole che stava sorgendo fra le ombre della notte.

Si alzò precipitosamente vestendosi alla meno peggio e disse alla nipote che sarebbe andata a fare un giro d’ intorno per vedere se la trovava, può darsi che aveva avuto voglia solo di fare una passeggiata. Oltre alle solite raccomandazioni, la rassicurò dicendole di stare tranquilla che non c’ era nulla di cui preoccuparsi, la madre era una persona seria e non propensa a fare dei colpi di testa. Ma di questo non era per niente sicura, ultimamente Totuccia era cambiata, era molto più irascibile e confusa. Comunque questo pensiero lo tenne per sé.

Effettivamente, Totuccia non era riuscita a chiudere occhio, doveva risolvere una volta per tutte quella situazione che la faceva stare male, doveva parlare con Don Vincenzo e dirgli che doveva lasciare in pace la sua famiglia e dimenticarsi per sempre dell’ esistenza di Rosalia. Le aveva fatto già troppo male e quello le era bastato.

Perciò aveva deciso di recarsi al maniero di buona mattina, doveva parlargli senza testimoni, in quanto era un discorso che riguardava solo loro due e nessun altro. Per di più Rosalia non avrebbe mai dovuto sapere di quell’ incontro perché si era accorta che la figlia malgrado tutto pensava a quel padre che le era mancato così tanto nel periodo della sua infanzia e il legame di sangue le urlava nelle vene. Finalmente stava iniziando ad albeggiare e si vedeva un po’ di piu, camminava con passo deciso e senza timore di fare brutti incontri, sebbene era rischioso per una donna da sola intraprendere un cammino fra le sterpaglie e i molti campi incolti e abbandonati dai proprietari che erano emigrati altrove per lavoro.

Arrivò davanti al grande cancello di ferro e lo trovò aperto perché stavano uscendo alcuni braccianti che andavano a lavorare, entrò e attraversò il grande giardino, quel luogo era pieno di ricordi, le passeggiate con Don Vincenzo, le corse, i giochi, i primi baci sotto il grande olmo, lo sbocciare del loro grande amore. Provò una stretta al cuore rammentando i loro sguardi innamorati e le carezze rubate agli occhi degli altri. Si fece coraggio e bussò al portone sul quale c’ era lo stemma nobiliare della famiglia, venne ad aprire la vecchia domestica Cicca, la quale vedendola le disse: ” Matri e Gesù chi fai ca? Ti haju vì riri da anni ma sempri ‘ na bbiddrizza si… trasa, trasa.”

Totuccia d’ impulso l’ abbracciò, voleva bene a quella domestica che l’ aveva sempre trattata come una figlia, le chiese: ” Iddu c’è?”

” Si… si jè sulu svegliato e sta facennu colazione, aspetta chi gli vaiu a diri chi si ca.”

Cicca sparì nel lungo corridoio e ritornò dopo un po’ facendola accomodare nel salone: ” U barone ntra picca scende, intanto assettati.”

La salutò lasciandola sola… Totuccia si guardava intorno, tutto era rimasto uguale, le grandi cornici in oro, dove c’ erano immortalati dipinti gli avi della dinastia, l’ immenso tavolo in noce dai massicci piedi scolpiti in legno, raffiguranti dei leoni, dove un tempo si riunivano i nobili del circondario per le ricorrenze importanti. Le pesanti tende ricamate a mano coprivano le grandi vetrate colorate. I pavimenti rivestiti da preziose mattonelle maioliche davano un tocco di eleganza all’ ambiente. Mentre osservava ciò, arrivò il barone, le si avvicinò sorridendo, il cuore di Totuccia fece una capriola inoltre sentiva un vuoto nello stomaco che le procurava degli spasmi. Lei non ricambiò il sorriso, anzi arrivò subito al sodo:” Sugnu ccà picchì ti haju parrari, ri tia nun vogghiu nenti, ti aviri scurdari ri me e ri Rusalia… Pi tia semu morti. Capisti?”

Questi l’ ascoltò in silenzio poi: ” Finisti? Rusalia jè macari (anche) figghia mo, iu nun mu pozzu scurdari. Tu ti devi fari ‘ na raggiuni, e dù oppu me aviri spiegari pcchì tuttu chistu odiu.”

” E mu dimanni? Me lassasti, sinza mancu ‘ n salutu, si scappatu comu ‘ n cunigghiu.”

” Jè chistu ca credi? Sugnu annatu picchì si no facì evanu du mali a la to famiglia, me patri mi minacciò e dopu lu sai chiddu chi succediu.”

Totuccia rispose: ” Pi mia nun cancia nenti.”

Nemmeno lo salutò ed uscì velocemente da quella casa che le procurava dolore, ma mentre si allontanava le lacrime sgorgavano copiose da quello sguardo spaurito e confuso. Si era accorta di amare ancora quell’ uomo ed era convinta che non avrebbe mai smesso di amarlo. Faceva parte della sua vita come in passato anche nel presente. Era quasi giunta al cancello quando si sentì chiamare: ” Totuccia… Totuccia aspietta pi favuri…”

Lei si girò e lo vide che correva presso di lei, era bello come sempre e aveva lo sguardo innamorato come un tempo. Si avvicinò e non ci fu bisogno di parole, si abbracciarono e le loro labbra si unirono in un bacio che aveva il sapore unico di un amore ritrovato. Poi lei scappò via, con l’ anima in subbuglio.

Contemporaneamente Assuntina stava rientrando a casa senza aver trovato la sorella da nessuna parte, cercò di apparire tranquilla agli occhi di Rosalia, la quale era preoccupatissima per la sorte della madre. Tirò un sospiro di sollievo nel vederla tornare, le chiese dove fosse andata e lei le rispose che siccome aveva passato tutta la notte sveglia era uscita per fare una passeggiata e senza accorgersene era arrivata fino al campo dove coltivavano il grano, il quale distava un bel po’ dalla cascina. Non c’ era motivo per cui non dovevano crederci, quindi la cosa finì lì. Era domenica e Rosalia si ricordava della promessa fatta ad Don Orazio, quindi quando la madre e la zia le chiesero se voleva andare a messa con loro, non rifiutò lasciando entrambe stupite.

Si preparò con cura, indossò il vestito buono, delle grandi occasioni ed invece della solita veletta nera per coprire i capelli ne mise una bianca quasi in segno di sfida. Una volta pronte lei e la bambina si avviarono con la mamma e con la zia verso il paese. La campana aveva già suonato due volte, segno che da lì a poco sarebbe iniziata la funzione, avevano deciso volutamente di arrivare al momento di inizio della celebrazione, al fine di evitare i paesani. Ma inaspettatamente appena varcarono il portone, tutti i presenti si girarono per salutarle facendogli cenno con il capo e per di più gli fecero spazio nei banchi affinchè si potessero sedere.

Rosalia era sempre più disorientata, c’ era qualcosa che le avevano tenuto nascosto, non era possibile una trasformazione così radicale nei suoi confronti. Dopo la messa il mistero le fu chiarito, sentì per caso una discussione fra due uomini, uno diceva all’ altro: ” Si u baroni si jè scomodato pi idda, ci sarrà ‘ n mutivu serio.”

L’ altro ribatteva: ” Si dì ci chi a chi fari cu a la matri.”

A questo punto si zittirono, alla loro uscita dal portone. Adesso le era tutto chiaro la gente aveva rispetto e timore del padre, e grazie a lui, nessuno osava più dirle qualcosa, ma se da una parte gli era riconoscente dall’ altra, orogogliosa com’ era, non le piaceva che qualcun altro avesse risolto un suo problema.

Anche Assuntina e Totuccia avevano sentito, ma fecero finta di niente, dissero a Rosalia che avrebbero dovuto avviarsi verso casa perché si era fatto tardi e la piccola aveva fame. Nel momento in cui stavano per imboccare la strada, un carro gli si avvicinò ed una voce ben riconoscibile chiese: ” Pozzu accumpagnari vuatri pi la econumì a(cascina)?”

Don Vincenzo era lì, incurante degli avvertimenti di Totuccia, sicuro di sé che non avrebbe avuto un rifiuto, invece Totuccia rispose: ” Siti orbu? Avemu i gamme pi caminari, nun avemu bisù ognu di li rote.”

Lui fece buon viso a cattivo gioco:” Aviti a nica e a via jè longa.”

Lei questa volta si fece prendere dall’ ira e sbottò: ” Iu ri vuatri nun vogghiu mancu ‘ na spilla e ù ora lassami passari.”

Finalmente il barone capì che aveva a che fare con un muro, quindi girò il carro e se ne andò. Ma alla scena avevano assistito altri passanti e tutti si chiedevano il perché del rifiuto della donna e soprattutto meravigliati dal tono perentorio con cui le si era rivolta.

La sorella e Rosalia non dissero nulla, eppure Rosalia iniziava a voler bene a quel padre in cui riconosceva molti tratti del suo carattere, dalla generosità, dalla caparbietà nel cercare di lottare per ottenere ciò che si vuole, nel coraggio e poi in ultimo aveva notato di assomigliargli anche in alcune sue espressioni, come quel modo buffo di arriccinare il naso quando si otteneva un rifiuto. L’ atteggiamento della madre nei confronti del barone l’ aveva infastidita dopotutto c’ era anche lei e la piccolina, d’ ora in poi l’ avrebbe dovuta consultare nel prendere decisioni che riguardavano il padre.

Si misero in cammino come se non fosse successo nulla.

Arrivarono a casa verso mezzogiorno, stanche ed accaldate perché nonostante era a primavera, il sole era cocente. Non avevano voglia di cucinare qualcosa di laborioso pertanto preparano pasta alla “ carrettiera”, così chiamata per i carrettieri che trasportavano merci, e il loro pranzo era costituito appunto da questo piatto gustoso, povero e veloce. Spaghettoni, aglio crudo, olio aromatizzato ed infine peperoncino e formaggio.

Durante il pranzo, Assuntina disse che dovevano effettuare diversi lavori nei campi e da sole non potevano farli tutti, da ciò l’ esigenza di chiamare qualche lavorante per aiutarle, fece diversi nomi fra cui Nino, il quale era considerato una persona seria e competente e quindi poteva fare il caposquadra per controllare che tutto venisse fatto bene. A sentire il nome di Nino, Rosalia ribattè: ” Pi fù orza ri cosi, avimu ciamari Ninu, ci sunnu assai braccianti cchiù vicini.”

La zia: ” Picchì? Nun sta beni a tia?”

Rosalia ancora dopo tanto tempo, non aveva raccontato nulla di quello che le era capitato, pertanto non poteva opporsi più di tanto. Non voleva rivederlo, non perché non le era affezionata ma per evitare ulteriori complicazioni, in quel momento la sola cosa che le importava era la sua serenità.

Dopo nemmeno una settimana se lo ritrovò davanti, con la sua solita sacca e il suo dolce sorriso ma leggermente invecchiato, quasi come se non fossero passati solo alcuni mesi ma anni. Nino da quando Rosalia era partita, si era lasciato andare, sembrava che la sua vita non avesse più scopo, credeva che forse l’ avrebbe dimenticata con il tempo invece al contrario il suo amore era più grande di prima e rivedendola ne aveva avuto la certezza. Dall’ emozione a malapena riuscì a parlare: ” Rusalia, si ‘ n miraculu ri Diu, tantu chi si bedda…” Lei arrossì per l’ imbarazzo e rispose: ” Ma chi rici Ninu? Nun affè nniri tuttu chiddu chi Diu avi fattu. Comu stay?”

Lui non ce la fece a mentire: ” Sì enza ri tè… mali, sunnu comu ‘ n mortu chi camina.”

Nel cuor suo Rosalia sperava che l’ avesse dimenticata e magari si era trovato anche una bella ragazza, invece i suoi timori si erano avverati, non solo non si era scordato di lei ma ora non provava nessun disagio ad esternare i suoi sentimenti. Sarebbe stato complicato stargli lontano anche perché lei doveva andare tutti i giorni nei campi per portargli da mangiare, in quanto oltre la paga giornaliera erano compresi i pasti. Comunque tagliò corto il discorso e chiamò la zia avvisandola che era arrivato Nino.

Nei giorni seguenti riuscì a non restare mai sola con lui, perché c’ erano gli altri uomini, quindi gli lasciava il pranzo e scappava. Nino si era accorto che l’ evitava e questo lo faceva stare ancora più male, finchè una sera decise di affrontarla, era una serata dall’ aria mite, il lilla era fiorito emanando un delicato profumo, il giardino era incantevole, pareva il momento giusto, quindi si recò in casa e chiamò a Rosalia: ” Rusalia, ti haju parrari…”

Lei: ” Facì emu prestu picchì a nica avi sonnu.”

Fecero una passeggiata non lontano da casa e Nino trovò il coraggio e le chiese: ” Mi vvoi maritari?”

Lei restò senza parole, non si aspettava una proposta del genere così a brucia pelo e non sapeva cosa rispondere:” Ninu…”

Ma lui la bloccò subito dicendole:” Nun mi aviri rispù nniri nabbotta, pensaci… ci sunnu ancù ora quarchi jorna ri travagghiu.”

Anna Rossi 18/03/2021 07:16 1 681

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.

I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«La proposta di matrimonio da parte di Nino è arrivata... cosa deciderà la nostra Rosalia?
Anche questo episodio ha regalato sorprese... adesso la giovane donna è rispettata in Paese... e questo grazie all’intervento del barone...
Però, l’emozione più grande è quella che nasce dall’incontro tra Totuccia e il barone... quel bacio vuol dire tanto... l’amore non è mai morto, nonostante il tempo trascorso e tutte le difficoltà che hanno caratterizzato la vita dei due innamorati... i genitori di Rosalia resisteranno all’attrazione ed al sentimento che ancora li lega?
Nuove sorprese sono pronte per il lettore...»
Giacomo Scimonelli

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Storia di paese (Il confronto) 38 Episodio (13/01/2022)

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